Se qualcuno si fosse azzardato a dire che dopo quasi mezz’ora di gioco il punteggio tra Italia e Nuova Zelanda sarebbe rimasto inchiodato sullo zero a zero, costui avrebbe certamente meritato motti di scherno e accuse di incompetenza. La domanda più gettonata, a pochi minuti dal fischio d’inizio, era quanti minuti o secondi gli All Blacks avrebbero impiegato per segnare la prima meta del match, e lo scrivente aveva ipotizzato quattro minuti. Invece, ce ne sono voluti ventotto.

Vero è che coach Ian Foster aveva deciso di schierare una formazione zeppa di rincalzi (il calendario propone sfide con Irlanda e Francia) ma queste, nel rugby, sono scelte che non possono essere invocate a scusante. E’ tuttavia certo che ieri non solo la qualità del gioco degli All Blacks si è abbassata di almeno un paio di tacche ma la squadra è scesa in campo con una qual certa svogliatezza, mettendo in mostra un gioco poco brillante e spesso falloso. Invece della temuta e travolgente marea nera, la navicella azzurra si trovava a fronteggiare una grigia e appiccicosa giornata di scirocco e il punteggio che chiudeva il primo tempo, 21 a 6, lo certificava.Dopo un’ora di gioco l’Italia ha però ceduto e i tuttineri hanno dilagato pur senza entusiasmare. Il risultato finale è 47 a 9, con sette mete messe a segno dai nostri avversari (2 mete a testa per Dan Coles e Asafo Aumua, una per Finlay Christie, Seevu Reece e Hoskins Sotutu) e sei trasformazioni di Richie Mo’unga. Per l’Italia ci sono i tre penalty piazzati tra i pali da Paolo Garbisi.

VENIAMO AGLI AZZURRI. Bene, molto bene, nei punti di incontro, male nelle touches, malissimo nel contrasto delle maul avversarie, sufficiente la disciplina finché le forze hanno retto. Ma soprattutto, poche idee nelle delle fasi di attacco, quando la gestione del pallone si è fatta problematica. Per lungo tempo la Nuova Zelanda si è trovata in difficoltà nel gioco avanzante, complice una difesa italiana sempre aggressiva e presente a sé stessa. Per venire a capo del match e mettere a segno i primi punti gli All Blacks hanno dovuto approfittare della loro superiorità nelle fasi statiche: prima la spinta del loro pack ha costretto gli azzurri ad arretrare lasciando l’ovale in mano avversaria; poi due touches a ridosso della linea di meta azionavano una maul che vedeva Lamaro e compagni soccombere, sospinti all’indietro. Una terza meta in fotocopia (maul avanzante) giungeva nel finale di gara.

ALLA FINE i 25 mila spettatori dell’Olimpico hanno assistito a una partita piuttosto brutta, giocata a basso ritmo, priva di guizzi e colpi di genio. La resistenza della nazionale italiana è durata in tutto un’ora. Alle tre mete subite nel finale del primo tempo se ne sono aggiunte altre quattro tra il 63’ e il 75’, quando la squadra ha ceduto e di lì in poi gli All Blacks hanno disposto a piacimento dei loro avversari. Sabato prossimo c’è l’Argentina a Treviso. E’ una sfida antica che negli ultimi anni ha sempre visto prevalere i Pumas, beneficiati dall’ingresso nell’International Championship e capaci di migliorarsi stagione dopo stagione. Sarà con loro, oltre che con l’Uruguay, atteso a Parma tra due settimane, che il rugby italiano dovrà misurare la propria caratura, confermando i progressi (se tali sono) e correggendo i propri difetti. Kieran Crowley avrà certamente preso tutti gli appunti. Migliorare la gestione della palla è un processo che richiede tempo e lavoro. Aggiustare le touches e le maul è invece un’emergenza, un elemento di debolezza a cui porre rimedio da subito.