Vedere il presidente del consiglio Mario Draghi e soprattutto il ministro dell’Economia parlare per la prima volta pubblicamente di Ita solo per annunciarne la privatizzazione a meno di quattro mesi dall’accidentato decollo della compagnia rende bene l’idea di una storia già scritta. Scritta a Bruxelles e (meno) a Roma ma con un copione preciso: la svendita a Lufthansa. Con l’alternativa ipotetica degli americani di Delta o dei francesi di AirFrance solo come diversivo a un finale scontato.
La compagnia che ha preso il posto di Alitalia è nata già con lo scopo di essere costituita su misura per il gigante tedesco: più che dimezzata e con un costo del lavoro da low cost potrà riempire i voli intercontinentali di Lufthansa esattamente come la svizzera Swissair o la belga Sabena.
A condire il tutto con un po’ di patriottismo che ha già convinto gli esponenti di Fratelli d’Italia – da Fabio Rampelli in giù finora ferrei avversari del «metodo Fca» usato da Altavilla (che ora potrà prendersi il suo milioncino di stipendio) – è arrivato il prestanome Gianluigi Aponte che con la sua Msc abbindola chi ci casca nel sostenere di voler fare di Ita una compagnia cargo.
Qualche inceppo nel meccanismo però c’è: Aponte è italiano ma è residente in Svizzera e sfrutta le leggi dei Cantoni per non pubblicare i propri bilanci. Un’opacità che rallenta la «trattativa privata» richiesta. Franco allora ieri ha dovuto annunciare un decreto (Dpcm) con l’alternativa fra «offerta pubblica o vendita diretta». Toccherà ai soliti advisor scelti dal Mef – azionista unico di Ita – prendersi l’onere di scegliere la seconda strada.
Di sicuro Franco ha già annunciato che il Mef – dunque lo stato – avrà una quota di minoranza e si affretterà poi presto a vendere tutto, ultimando la prima privatizzazione dell’era Covid: un vero controsenso. Che anche la Filt Cgil evidenzia chiedendo invece al governo di «mantenere la maggioranza potendo esercitare la Golden Power in un settore strategico che non può essere lasciato a concorrenti stranieri», conclude il segretario nazionale Fabrizio Cuscito.
A contrastare questo demenziale piano continua a esserci quasi in solitaria il sindaco di Fiumicino Esterino Montino, conscio del depauperamento totale dell’indotto dell’hub romano. «Si può ufficialmente dire che l’Italia non avrà più una compagnia di bandiera – constata amaro – avevamo ampiamente previsto che la vicenda Alitalia/Ita sarebbe finita con la svendita di un asset per l’Italia che non giocherà alcun ruolo nella gestione dei flussi turistici nel paese più visitato d’Europa», conclude.
Ieri dunque si è materializzato il trionfo dei liberisti nostrani che da decenni aggiornano compulsivamente «i miliardi pubblici gettati nella voragine Alitalia». Dimenticando che sia Lufthansa che Air France hanno invece una partecipazione pubblica forte e sono entrambe vere «compagnie di bandiera».
Quanto ai circa 8 mila esuberi ex Alitalia per loro rimane solo la strada dei tribunali del Lavoro, intrapresa già da molti per rivendicare il loro diritto a essere riassunti in Ita.