L’emergenza che stiamo vivendo insegna molte cose. Fra le più utili c’è quella di capire i lati nascosti delle persone e questo ci aiuterà a selezionare gli amici quando la pandemia sarà finita. I messaggi e commenti postati via social hanno molte facce: catastrofisti, paranoici, ansiotici, rattristati, razionali, emotivi, arrabbiati, vendicativi. Rappresentano gli stati d’animo del momento, le peculiarità di carattere delle persone e, anche, la loro capacità di visione, l’evoluzione dell’immaginario. Per dirla semplice, quello che guardiamo e condividiamo dice quanto siamo inguaiati nel patetico o nel catastrofismo (i due toni che più emergono dai racconti sul coronavirus e le sue conseguenze), oppure quanto riusciamo a mantenere un punto di vista critico.
Faccio l’esempio di due video che mi sono stati mandati da altrettante persone molto diverse fra loro. Il primo è girato in puro stile apocalittico hollywoodiano. Sullo sfondo di una galassia compare il coronavirus come se fosse un pianeta e che, parlando con una voce maschile fuori campo, si lancia in un predicozzone carico di retorica, luoghi comuni, effetti eco. «Ciao – esordisce – sono Covid-19. Scusate il poco preavviso» e qui siamo entrati nella personificazione del virus come giustiziere divino che subito dichiara la sua missione flagellatrice.

«SONO QUI perché ero stanco di vedervi regredire anziché evolvervi, ero stanco di vedere come continuate a rovinarvi con le vostre mani, ero stanco di vedere come trattate il pianeta, ero stanco di vedere come vi rapportate l’un l’altro, ero stanco dei vostri soprusi, delle violenze» e via un lungo elenco di egoismi, conflitti, materialismi, indifferenze. Ovviamente non si dimentica di bastonare i tradimenti e lo scarso senso della famiglia, per poi passare allo svelamento: «Lo so, sono duro con voi e non guardo in faccia nessuno, sono un virus. Ho fermato tutto apposta per farvi capire che l’unica cosa importante è la vita». Infine c’è la minaccia: «Quando voi festeggerete io me ne sarò appena andato, ma ricordatevi di non essere persone migliori solo in mia presenza».
Non uso mezze misure, qui dentro c’è tutto il peggio possibile della rappresentazione. Si fa leva sull’evento punitivo anziché sulla presa di coscienza, sull’emotività piuttosto che sull’analisi, sulla paura invece che sulla conoscenza. Si evoca la necessità si diventare migliori, mentre c’è bisogno di recuperare la capacità di confliggere, ovvero di combattere nel profondo un modello di società che ha fatto degli individui merce da sfruttare dalla nascita fino alla morte.

CHI MI ha mandato questo video lo ha accompagnato dicendo «Mi ha fatto piangere» e lì ho capito che non potrò più frequentare come prima quella persona perché non sarò più disposta a perdonare il suo coccolarsi nel vittimismo. Arrabbiati, porca miseria, invece di piagnucolare. L’altro video è tutto l’opposto. L’ha girato Danial Kheirkhah, un artista e mimo iraniano che, sullo sfondo della Danza Ungherese n. 1 di Brahms, usa un’esilarante serie di mimiche facciali e movimenti di dita per insegnare come lavarsi correttamente le mani, pratica che dovrebbe durare almeno venti secondi per essere efficace. Il finale è naturalmente comico. Come un novello Buster Keaton, Kheirkhah spiega divertendo, insegna prendendosi in giro, usa l’ironia anziché il patetico. L’amica che me l’ha girato l’ha ricevuto a sua volta da musicisti napoletani e questa è la catena di relazioni che prediligerò in futuro, perché saper ridere, pensare e confliggere sono le tre pratiche che ci salveranno, se vorremo cambiare davvero le cose.

mariangela.mianiti@gmail.com