«Questa cosa non ha niente a che fare con la questione Fincantieri» assicura il ministro Calenda, ma credergli è difficile. Più che a una ritorsione il sollecito avanzato dal ministro alla presidenza del Consiglio per avviare un’istruttoria, da parte del gruppo di coordinamento all’interno della presidenza stessa, ha il sapore di un atto di guerra. Quel che il Comitato dovrà verificare è l’eventuale sussistenza di obblighi di notifica e il possibile esercizio di poteri speciali sugli assetti societari di Tim spa. Al di fuori del gergo tecnico, significa che il governo sta valutando la possibilità di invocare il golden power su Tim e blindare l’azienda, ove venisse ravvisato che il controllo francese sulla rete Tim, che veicola l’accesso di tutte le compagnie telefoniche italiane, incide su un ganglio vitale per gli interessi nazionali italiani.

 

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Il sollecito di Calenda è del 31 luglio, un giorno prima che il presidente del Pd Orfini avanzasse la stessa richiesta e alla vigilia del fallimento dei colloqui sui cantieri di Saint-Nazaire. Ma se la mossa del governo italiano non è effettivamente una reazione diretta al fallimento dell’incontro tra il ministro dell’Economia francese Le Maire e i due ministri italiani Calenda e Padoan, peraltro del tutto previsto come aveva assicurato a caldo lo stesso Calenda, l’offensiva si inscrive comunque nel clima di scontro frontale tra Parigi e Roma.

Qualche giorno fa lo stesso ministro aveva bollato come «fesseria» l’ipotesi di nazionalizzare Telecom, operazione del resto proibitiva dato il valore dell’azienda in Borsa, pari a 17 mld. La minaccia di esercitare la golden share sulla rete Tim, cioè sul versante più ghiotto e lucroso dell’azienda, invece non è affatto una fesseria. È concreta e proprio Calenda lo rimarca a chiare lettere: «Eserciteremo con intransigenza le norme sul golden power e proporremo una norma antiscorrerie per le aziende quotate».

Come se non bastasse, c’è quella richiesta di verificare anche «l’obbligo di notifica sulla direzione e il coordinamento». L’ipotesi è che l’azienda francese, oltre alla direzione, abbia di fatto modificato, con il comunicato stampa del 27 luglio che annunciava il passaggio «temporaneo» delle deleghe di Cattaneo al Ceo di Vivendi Arnaud de Puyfontaine, anche l’assetto di controllo dell’azienda. In questi casi la legge prevede la notifica alla presidenza del consiglio prima che i nuovi assetti diventino effettivi.

Da Parigi, Vivendi rifiuta ogni commento ma lascia filtrare la linea di difesa: non ci sarebbe stato alcun cambio di controllo ma solo di governance e soprattutto, non essendo prevista alcuna vendita della rete Telecom, non ci sarebbe neppure quel «grave pregiudizio» per gli interessi pubblici italiani che giustificherebbe l’esercizio del golden power.

Poco prima della pubblicazione sul sito della presidenza del consiglio del comunicato che avvia l’istruttoria proprio Calenda, nell’informativa alla Camera sulla vicenda dei cantieri Stx aveva escluso ritorsioni contro la Francia, sconsigliate prima di tutto dai conti: il saldo italiano è in positivo per 11,4 mld, il fatturato delle aziende francesi è di 96 mld e i posti di lavoro derivati dagli investimenti di Parigi sono 250mila. Nessuna rappresaglia dunque. E tuttavia il duro del governo italiano aveva pronunciato la frase doppiamente minacciosa sul golden power e sulle scorrerie, dunque su Tim ma anche su Mediaset, e aveva confermato l’indisponibilità italiana ad accontentarsi del 50% delle azioni di Saint-Nazaire. Tutti, a Roma come a Parigi, ripetono che le «condizioni per un accordo» ci sono.

Ma per ogni evenienza i movimenti di truppe sono già cominciati.