A Matteo Renzi e al prossimo ministro degli affari esteri toccherà rispondere a Dacia Maraini, Umberto Eco, Dario Fo, Barbara Spinelli, Stefano Benni, Salvatore Settis, Claudio Magris, Erri De Luca e molti altri intellettuali che hanno chiesto al governo di tenere aperti gli Istituti italiani di cultura. Il ministero degli affari esteri, infatti, ha deciso autonomamente lo scorso dicembre di chiuderne otto: Ankara, Vancouver, Francoforte, Lione, Stoccarda, Lussemburgo, Salonicco, Wolfsburg.

Poco conosciuti in Italia – dove la cultura non fa notizia – tali Istituti sono le uniche istituzioni pubbliche che diffondono all’estero la lingua e il patrimonio culturale del nostro paese. Sono spazi di dibattito, finora miracolosamente sopravvissuti ai tagli, che operano grazie alle entrate generate dai corsi di lingua e cultura italiana. È una rete importante, costruita faticosamente nei decenni, che è servita a molti innamorati dell’Italia sparsi per il mondo per imparare l’italiano e per conoscere il nostro paese. Papa Bergoglio, per fare un esempio, studiò l’italiano nell’Istituto di cultura di Cordoba in Argentina; a Madrid, durante gli anni Sessanta, l’Istituto italiano era l’unico luogo in cui venivano proiettati i film di Fellini e si parlava dei romanzi di Moravia, autori entrambi censurati dal regime franchista. Con il tempo la funzione degli Istituti è cambiata, accompagnando l’evoluzione delle relazioni culturali nel mondo. Gli Istituti, oggi, cercano soprattutto di realizzare quell’idea di diplomazia culturale come parte della «diplomazia pubblica», promuovendo artisti, scrittori, musicisti italiani all’estero con il fine di contribuire al dialogo tra culture e persone. Anche per questo gli intellettuali italiani chiedono al governo di ripensarci.

Da anni gli addetti culturali della Farnesina conducono silenziose battaglie in difesa dei servizi agli utenti e della dignità del loro lavoro, ovunque sotto attacco. Schiacciati spesso da ingerenze e gestioni discutibili, gli Istituti all’estero si difendono come possono, ma nella maggior parte dei casi, come testimoniato ad esempio da Stefano Benni «ci lavorano persone appassionate che cercano di raccontare la cultura italiana al mondo, combattendo i luoghi comuni che solo in parte meritiamo».

Negli ultimi tempi è in corso un notevole rinnovamento. Gli operatori sostengono che la rete degli Istituti all’estero potrebbe essere gestita in modo più efficace. Si potrebbe svincolare dal ministero e attribuirne la gestione a un’agenzia autonoma dal governo, come avviene negli altri paesi occidentali, dove i vari British Council, Goethe-Institut, Cervantes sono mantenuti a distanza di sicurezza dall’intrusione del potere esecutivo. Basterebbe una legge, se il Parlamento italiano avesse a cuore la questione.

Certamente gli Istituti italiani di cultura all’estero non sono immuni dalle disfunzioni che colpiscono i servizi culturali nel nostro paese, ma il problema è soprattutto quello del controllo politico. Dieci direttori (quelli degli Istituti più importanti) sono nominati discrezionalmente dal ministro degli esteri, secondo una logica di rapporti tra potere e cultura discutibile e deleteria per gli stessi interessi che dovrebbero curare. Basti pensare all’ultima proposta di nomina all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, che ha sede in un edificio nei pressi della Ucla, dove il ministero degli esteri sarebbe orientato a inviare un ginecologo/urologo.

È su queste nomine che si potrebbe cominciare a tagliare. Ora che la spending review ha preso di mira la cultura all’estero e che gli intellettuali italiani più noti si sono schierati a sua difesa, si attende la risposta di Renzi. «Put your money where your mouth is», è una battuta dei film americani che sembrano essere il repertorio culturale da cui più volentieri attinge l’ex sindaco di Firenze in procinto di dialogare con i grandi del mondo. Vedremo se Renzi «metterà i soldi dove dice a parole di volerli mettere», come affermano gli eroi del suo pantheon, e se risponderà all’appello di mantenere aperta la cultura italiana all’estero. È un test che ci darà indicazioni sulla direzione che intraprenderà il nuovo governo.