«Prima l’occupazione giovanile, poi le pensioni» ha ribadito ieri il ministro del lavoro Enrico Giovannini in un vertice con i sindacati e le associazioni degli imprenditori. Due ore di incontro interlocutorio che avrebbero dovuto fermare le voci sulla contro-riforma chirurgica della riforma Fornero (contratti a termine e apprendistato), sulla revisione degli ammortizzatori sociali in deroga, sulla riforma dei centri per l’impiego che oggi garantiscono un lavoro solo al 2,9% di chi ha tra i 18 e i 29 anni. Tutti hanno riconosciuto che la crescita non la si ottiene cambiando le norme di una legge sul lavoro, ma certo non la si può nemmeno invocare senza soldi. L’impegno del governo è restato, ancora una volta, sul vago. «A costo zero». I «tempi sono stretti» ha confermato Giovannini, ma non sono state fornite cifre certe sul rifinanziamento della Cassa Integrazione o sugli esodati. Per quanto riguarda l’emergenza della disoccupazione giovanile, che Letta ha preso a cuore, il governo deve avere capito che il piano europeo sulla «Youth guarantee» di 6 miliardi di euro destinerà all’Italia solo 400 milioni. Una cifra irrisoria che non permette di protrarre oltre la commedia degli equivoci degli ultimi giorni. Servono soldi, ma i soldi non ci sono. Giovannini ha assicurato che continuerà ad «effettuare un’analisi dettagliata» della situazione. Queste riforme «non sono a costo zero» ha poi aggiunto, ma certo è «difficile trovare 12 miliardi» per l’occupazione, la Cig, gli esodati e tutto il resto. Navigheremo a vista fino a fine luglio quando le parti sociali e il governo si sono ripromessi di presentare un piano «organico». Le risorse dovrebbero spuntare prima del vertice europeo straordinario sull’occupazione giovanile a Berlino, anche per dare corpo alla promessa di assumere 100 mila giovani e abbattere la loro disoccupazione dell’8%.
Di strada ce ne sarà da percorrere, e sarà tutta in salita, come dimostra il rapporto annuale 2013 presentato ieri dall’Istat alla presenza dello stesso Giovannini. I dati sono ormai conosciuti, ma ci sono anche rivelazioni importanti. Per L’Istat in Italia il popolo del non lavoro è composto da sei milioni di persone, 2.744 milioni di disoccupati (nel 2012) che cercano un lavoro in media per 21 mesi prima di trovare un’occupazione, e da 3 milioni e 86 mila persone di «inattivi» o forza lavoro potenziale. In quest’ultima cifra dovrebbe essere compresa anche quella di 2,2 milioni di «Neet», il 23,9% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, un vero record europeo. Questa situazione non è estranea ad altri paesi europei, ma quella italiana è caratterizzata da un elemento che mostra la gravità della crisi occupazionale in corso. Il numero degli «inattivi», giovani e meno giovani, «neet» compresi, ha ormai superato il numero dei disoccupati «ufficiali» che dall’inizio della crisi nel 2008 sono aumentati di un milione. L’Italia è l’unico paese europeo a conoscere questo fenomeno. Ciò dimostra che il tasso di precarietà è talmente esplosivo da avere superato la soglia ufficiale della disoccupazione che di regola è più facile da calcolare. L’Istat ha registrato anche il progressivo abbassamento della soglia di età della disoccupazione tra chi un contratto di lavoro lo ha avuto. Un disoccupato su due, alla ricerca di un lavoro da un anno, ha tra i 30 e i 49 anni. In questo scenario cupo non deve sfuggire una trasformazione importante. L’occupazione femminile è cresciuta di 110 mila unità tra il 2011 e il 2012. Le famiglie dove lavorano solo le donne sono passate da 224 mila nel 2008 a 381 mila nel 2012. Un fenomeno che è diventato rilevante nelle coppie dove l’uomo è in cerca di lavoro, o è un cassaintegrato, mentre le loro compagne lavorano in particolare al Sud dove la loro età media è alta e hanno un titolo di studio basso. In queste zone del paese, calcola l’Istat, la disoccupazione è il triplo che al nord (+17%) e gli «inattivi» sono il 34,2% contro l’11,8%. La ricerca di una prima occupaziomne può arrivare anche a 30 mesi e riguarda i giovani. Ciò spinge le famiglie, rette sul lavoro e il protagonismo delle mogli e delle madri, a sostenere gli sforzi dei figli e dei mariti in una ricerca che può rivelarsi vana.
Nel rapporto Istat, da pagina 70 in poi, c’è infine un dettaglio che governo e parti sociali dovrebbero leggere attentamente. Viene descritto un paese – l’Italia – che nel 2013 avrà un debito superiore al 130%, con interessi sul debito pari al 4%, il Pil in recessione a meno 1,7% (forse) e con la disoccupazione oltre il 12%. Il Fiscal Compact che la «strana maggioranza» che governa il paese da due anni ha approvato in Costituzione taglierà il debito di 45 miliardi ogni anno per portarlo al 60% sul Pil. Per l’Istat ci vorranno 80 anni. Anni di crollo del Pil e di disoccupazione. Nella sua allucinazione, questo sembra essere lo scenario più realistico. Bisogna solo lasciare tempo a Giovannini, ex direttore dell’Istat, di arrivare a pagina 70. Forse allora si capirà che «i prossimi mesi saranno decisivi» per evitare un autunno «estremamente difficile». Lo sarà, o almeno così sembra, se qualcuno non metterà in discussione la vera regola d’oro di questa austerità suicida.