Tania aveva diciotto anni. È morta per un ascesso non curato che le ha causato uno choc settico polmonare. L’infezione alla bocca si è diffusa fino al tessuto muscolare del collo, ha raggiunto i polmoni, le ha provocato una fascite. Il suo calvario è iniziato il 19 gennaio scorso quando la ragazza è stata portata all’ospedale Buccheri La Ferla di Palermo, e si è concluso il 10 febbraio. Da quanto è stato reso noto, la famiglia non aveva i soldi per pagare un dentista a Tania. Una tragedia, e un caso rarissimo, ma che può accadere quando si trascura la cura dei denti. La prevenzione, e il rifiuto delle cure, è una realtà sempre più conosciuta in Italia. Secondo il Codacons l’11% degli italiani è costretto in questa situazione. Per le cure odotoiatriche la percentaule sale addirittura al 23%, anche perché la sanità pubblica non è in grado di garatirle. Le liste d’attesa sono lunghe mesi.

Sanità pubblica cercasi

La scomparsa di Tania avviene in coincidenza della fotografia scattata dall’Istituto nazionale di Statistica (Istat) sullo stato di desertificazione industriale, deprivazione personale e di recessione in cui si trova il nostro paese. Nel quadro d’insieme, «Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo», emerge la realtà materiale delle famiglie e della sanità pubblica in cui è avvenuta la tragedia palermitana. La spesa per la sanità pubblica nel 2012 è stata di circa 111 miliardi di euro, pari al 7% del Pil (1.867 euro annui per abitante). È una delle più basse d’Europa, ben distante dai 2.345 dollari spesi nel 2011 dalla Finlandia o i 2.224 della Spagna.

Tra tagli e “razionalizzazioni”, diminuiscono anche posti letto e ospedali. Con la preannuciata riduzione di 1 miliardo di euro al Sistema sanitario nazionale nel 2014 e nel 2015, spiega l’Istat, l’Italia scenderà ben al di sotto della media europea di 5,5 posti letto per mille abitanti: 3,7 per ogni mille abitanti. A livello regionale, nel decennio della spending review alla spesa sanitaria, il numero è crollato da 4,3 a 3,5 posti letto, con punte drammatiche di 2,9 in Campania. Il numero delle strutture ospedaliere è passato da 1.286 nel 2002 a 1.165 nel 2010. la disparità tra il Sud e il Nord del paese ha aumentato il flusso di emigrazione alla ricerca di ricoveri più degni ed efficienti. Si emigra di più dalla Calabria (17,2) e dall’Abruzzo (16,5).

Deprivazione alimentare

La riduzione della spesa sanitaria è uno degli aspetti dell’austerità che è inizata nel nostro paese ben prima della crisi del 2008. Gli ultimi cinque anni hanno inciso gravemente sui bilanci familiari, al punto che l’Istat arriva a parlare di «deprivazione». Il 24,9% delle famiglie vive in una situazione di disagio economico. Una famiglia su quattro si trova in questa situazione. Ha almeno tre dei nove indici di disagio economico: non può permettersi di sostenere spese impreviste, pagare arretrati o permettersi un pasto proteico ogni due giorni.

Coldiretti sostiene che siano 10 milioni gli italiani che nel 2013 non potevano permettersi questo pasto (+35% rispetto al 2012). La deprivazione colpisce 4.068.250 persone povere. Tra queste ci sono oltre 428.587 bambini con meno di 5 anni e oltre 578 mila over 65 anni che sono costretti a chiedere aiuti alimentari. Con l’arrivo dell’euro, e il raddoppiamento di tutti i prezzi, aggiunge il Codacons, si può stimare che il 50% degli italiani fatichi ad arrivare alla fine del mese. Secondo la Confederazione italiana agricoltori (Cia) la riduzione della spesa per il cibo è diminuita di 2,5 miliardi di euro dal tra il 2012 e il 2013.

Come in Svezia, o quasi

Su questa situazione pesa l’aumento del peso fiscale al 44,1% (era al 42,5% nel 2011 e al 41,3% nel 2000). livelli simili alla Svezia (44,7%) che tuttavia garantisce un alto livello delle prestazioni del Welfare. Cosa che invece non accade in Italia. Molto spesso, questa realtà viene usata dai sostenitori delle politiche del rigore di bilancio come la giustificazione dei tagli al Welfare. L’Istat sostiene invece che la spesa per la protezione sociale supera il 30% del Pil, un valore appena superiore alla media Ue. Persiste la forte segmentazione e disparità tra le regioni del Sud e del Nord. La spesa sociale passa dal 2,5% della Calabria al 26,5% dell’Emilia Romagna.

La desertificazione avanza

I dati dell’Istat illustrano la desertificazione in atto nell’occidente capitalistico, l’altro volto della finanziarizzazione della vita economica e dell’indebitamento delle popolazioni. è un viaggio a ritroso nel tempo accelerato dalla recessione che ha ridotto il Pil pro capite in termini reali sotto il livello del 2000 (-1,6%). Negli ultimi 10 anni è aumentato del 12,5%, la crescita più bassa in Europa. Nel 2014 il tasso di disoccupazione è stimato al 12,8% e al 12,9% nel 2015. La disoccupazione giovanile è al 41,6%, la più alta dal 1977. Per quanto riguarda gli inattivi, l’italia è seconda alla sola Malta (36,3%), il lavoro sommerso coinvolge il 12% della popolazione attiva. Gli occupati a tempo parziale sono il 17,1%, chi ha un contratto a termine è il 13,8%. In generale, in Italia lavorano solo 61 persone su 100 tra i 20 e i 64 ani, un livello inferiore di 14 punti rispetto alla media che l’Ue vuole raggiungere nel 2020: il 75%. Le più colpite dalla precarietà e dalla disoccupazione sono le donne. Lavorano solo il 50,5%. Peggio fanno solo la Spagna (59,3%) e la grecia (55,3%).

Crollano i consumi culturali

Un italiano su due (49,4%) legge un quotidiano almeno una volta a settimana e, tra questi, il 36,2% almeno cinque giorni su sette. Nel rapporto Istat «Noi italia: 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo» emerge che il 43% degli italiani ha letto almeno un libro nel 2013. I lettori più forti sono al Centro-Nord (49,5%). Si usa più spesso Internet per leggere giornali, news o riviste: il 33,2%. I consumi culturali delle famiglie italiane restano tra i più bassi nell’Europa a 27 (7,3% contro l’8,8). Basso anche il tasso dei laureati: il 21,7% dei 30-34enni. Tra il 2004 e il 2012 è stato registrato un aumento di sei punti, insufficiente rispetto all’obiettivo del 40% fissato da Europa 2020. La spesa per istruzione e formazione è pari al 4,2% sul Pil, di gran lunga inferiore alla media Ue del 5,3%. Prodotto anche del taglio di 10 miliardi di euro a scuola e università stabilito dal governo Berlusconi-Tremonti-Gelmini nel 2008.

Una vita da Neet in Italia

Sono oltre due milioni i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni (il 23,9% del totale) che non sono inseriti in un percorso scolastico o formativo e non sono impegnati in un’attività lavorativa. Com’è ormai noto, nella categoria del «Neet» identificata dalla statistica internazionale, la maggioranza è detenuta le ragazze. Questa condizione riguarda soprattutto chi vive nel mezzogiorno. Se si aumenta l’età del campione di riferimento, come ha fatto l’Istat in una rilevazione pubblicata il 14 dicembre scorso (vedi il manifesto dello stesso giorno) oltre il 27% delle persone tra i 15 e i 34 anni sarebbero in questa condizione. La percentuale corrisponde a 3,75 milioni, 300 mila in più rispetto al terzo trimestre del 2012. Questa condizione di «Neet» riguarda tanto i quindicenni, quanto i trenta­quattenni, praticamente una generazione con persone di età, biso­gni e condizioni socio-economiche completamente diverse. Avere portato a 29 anni il tetto d’età per identificare i «Neet» è già un’anomalia, perché un uso così estensivo può indurre la politica a credere che la precarietà di un ultra-trentenne può essere affron­tata con gli strumenti adatti ad un teenager. E viceversa.