Il bonus di 80 euro avrà un effetto minimo sulla ripresa dei consumi nel 2014. Nelle stime primaverili pubblicate ieri dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) c’è una valutazione all’insegna dello scetticismo rispetto alla misura principale alla quale il governo Renzi ha dedicato tutte le sue migliori energie per sostenere una crescita anemica, per lo più trainata dal ritorno agli investimenti da parte delle imprese, più che dal desiderio di fare shopping o di uscire in pizzeria da parte degli italiani. E infatti l’Istituto di via Cesare Balbo prevede una risalita dei consumi poco più che simbolica nel 2014: si tratta di un microscopico 0,2%, una percentuale che viene apprezzata in quanto la spesa delle famiglie ha superato la soglia psicologica del sotto zero dopo tre anni consecutivi di calo.

Ci vorranno anni per recuperare il terreno perduto nel triennio della recessione, anche se l’Istat invita all’ottimismo: le detrazioni Irpef previste per i soli lavoratori dipendenti, ma non per gli autonomi e i pensionati, oltre che per gli ormai famigerati «incapienti» cioè precari e poveri sotto gli 8 mila euro di reddito, avranno «un lieve impatto positivo sulla crescita economica». La spesa delle famiglie, sostiene l’Istat, crescerà dello 0,5% nel 2015 e dell’1% nel 2016. Per il Codacons c’è poco da stare allegri. Il lieve ritorno alla spesa da parte delle famiglie è una delle poche variabili rimaste inalterate in un quadro macro-economico dove tutto è stato rivisto in peggioramento.
Altra brutta notizia per il governo, e il suo Def, che passerà allo scanner dei custodi dell’austerità a Bruxelles fino al 2 giugno, è la stima della crescita per quest’anno. Dopo la Commissione Ue, anche l’Istat la stima allo 0,6% contro l’illusorio 0,8% del governo, l’unico a credere nei miracoli spacciandoli per realismo. Per gli anni successivi, le previsioni sono ugualmente al ribasso: l’1% nel 2015 e l’1,4% nel 2016. Stime da dimostrare, ma presumibilmente a Palazzo Chigi verranno interpretate come «lievemente positive». Com’era prevedibile, le stime del governo sono state fatte per alimentare la bolla mediatica. Renzi e il ministro dell’Economia Padoan avevano infatti scommesso su una crescita dell’1,3% nel 2015 e dell’1,6%. Per molto meno l’ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni aveva polemizzato con l’Istat. Le sue stime minacciavano l’equilibrio precario sul quale si regge l’«austerità espansiva» delle politiche economiche.
Un’austerità che contribuisce all’andamento dell’occupazione. L’Istat conferma che, sia pure in presenza di una crescita contenuta, non ci sarà un significativo aumento di posti di lavoro. Quest’anno il tasso di disoccupazione dovrebbe stabilizzarsi a quota 12,7%, per poi lentamente calare a un poco significativo 12,4% a partire dalla seconda metà dell’anno con riflessi anche sul 2015. Di poco, ma la disoccupazione è destinata a scendere ancora nel 2016. Le unità di lavoro caleranno ancora dello 0,2% nel 2014 per poi tornare ad aumentare dello 0,6% nel 2015 e dello 0,8% nel 2016. Sarà forse questo il contributo che darà il «decreto Poletti» che precarizza tutto il precarizzabile nei contratti a termne. Su questa previsione c’è una convergenza tra Istat e governo.

Quest’ultimo si era mantenuto basso nel Def dove l’asticella è stata fissata ben al di sopra del 12% fino al 2015. Per l’Istat l’impatto della crisi sulla disoccupazione è stato tale da cambiarla strutturalmente. Nel 2013 la quota dei disoccupati di lunga durata è stata la più elevata tra i principali paesi europei, con una crescita rispetto al 2012 di circa 6 punti percentuali. Un record per l’austerità all’italiana.