Nella premessa ai 35 pezzi che costituiscono Storie vere e verissime (La Nave di Teseo «Oceani», pp. 221, € 18,00), tutti assolutamente esilaranti, Ermanno Cavazzoni dichiara di non aver fatto ‘letteratura’, ma di aver raccontato storie appunto vere, anzi verissime, e di essere disposto a fornire ulteriori dettagli su quanto riferito nel libro. «Se per caso qualcosa fa ridere, non è colpa mia, è il mondo che è comico» e i comici sono «i più fedeli, seri e precisi ritratti della specie umana fiorita sul terzo pianeta del sistema solare ad un certo punto dei quindici miliardi di anni che sono passati». Il punto è che non c’è cosa che non andrebbe ripensata «da zero» e rimessa sulle proprie fondamenta. Cavazzoni presenta la propria come una posizione di totale capovolgimento rispetto al comune sentire. Quello che per tutti è alto per lui è basso, e viceversa. E le cose ‘basse’, appunto, in tale mutata prospettiva, gli si presentano in primo piano: a nessuna di queste storie viene demandato il compito di portare il vessillo dell’esemplarità. Esplicito l’omaggio a Celati, cui è dedicato un racconto.
Nel libro si respira un’aria da Operette leopardiane. Sia a motivo del tono satirico e feroce nei confronti della balordaggine della communis opinio che non lascia pietra su pietra delle idee spacciate per verità (i miracoli, i premi letterari, il progresso …), sia per l’assunto di base paradossale che tutto è insignificante e la terra è un pianeta privo di qualsiasi importanza, per cui tutte le più rilevanti questioni (Dio, la vita dopo la morte, la politica, la letteratura) risultano drasticamente ridimensionate e ridotte a oggetto di chiacchiere puramente oziose, fanfaluche da pensionati stralunati, attaccati alle proprie fissazioni e restii a capacitarsi. Al narratore però piace sostenere le sue idee con argomentazioni a loro modo convincenti: il fatto che gli extraterrestri si fermino da noi sempre per pochissimo tempo e senza prestare grande attenzione alla nostra civiltà non può che stare a indicare la scarsa considerazione goduta dal nostro pianeta tra le galassie.
Dunque lo sguardo del narratore è quello del comico e il riso dissolve ogni possibile compattezza. Vista da vicino, la realtà rivela di essere fatta di una sostanza sgranabile, «bucherellata»: ogni buco una storia risibile, una fantasticaggine, presentata però con una certa gravitas da un personaggio che argomenta serissimo e imperturbabile le teorie più inverosimili, spiazzando regolarmente le attese del suo lettore («Io personalmente, dovessero chiedermi un parere, sconsiglio il paradiso»).
Di fatto questi sono pezzi satirici, istantanee di un mondo in cui gli individui vivono un tempo breve senza riuscire mai ad abbandonare l’illusione di poter restare sulla scena per sempre. Ed è la demolizione del tempo il grande tema delle storie qui narrate. Il tempo non è eternità, ma istante, barlume effimero che illumina piccole scene piene di personaggi buffi, di colori e di sentimenti. Si direbbe che qui si tratti del trionfo della percezione, sgranamento universale, una dimensione nella quale il soggetto si protende nell’inesauribile orizzontalità del suo essere nel mondo.
Tano Festa raccontava che, passando all’inizio del ’62 davanti a una vetrina dove era esposta una riproduzione del ritratto degli Arnolfini, gli venne fatto di pensare che il protagonista del quadro fosse in realtà un oggetto, il lampadario, incombente sui due e destinato come gli altri elementi presenti a sopravvivere ai coniugi, e che proprio quell’esperienza lo indusse a una svolta significativa della propria pittura. In Cavazzoni invece nemmeno gli oggetti che sembrano più duraturi possono sottrarsi al transeunte. Il racconto «I raccoglitori di cose», ad esempio, mostra una curvatura vertiginosa: l’autore riferisce di individui intenti per tutta la vita alla raccolta di oggetti bizzarri e sostanzialmente privi di valore (bambole rotte, mestoli, pezzi di incudine) nel tentativo vano di sottrarli alla morte. Ma gli oggetti raccattati e conservati con cura costruiscono nient’altro che un insieme di elementi fortuiti che comunque cadrà sotto la falce del tempo. Niente più della volontà infantile e insensata del raccoglitore di cose inutili rappresenta la follia di chi si illude di tenere insieme il mondo secondo ragione. Il comico, invece, fondamentalmente estraneo a ciò che lo circonda, vive in un mondo regolato da un tempo diverso e abita negli interstizi della Storia. La vita vera, infatti, «non è fatta dei grandi fatti che si studiano a scuola, ma da questi oggetti minori che la circondano … cose che sembrano insignificanti ma che hanno avuto il loro momento di piccola e memorabile gloria». Grazie ai comici e alle loro piccole storie brilla una minuscola gloria, e allora «tutti i comici sono dei metafisici che salvaguardano la salute dell’umanità … viviamo per un po’ e poi moriremo, e allora questa vita è tutta un’inutile buffonata». Una commedia, appunto, su cui presto scende il sipario, ma che, percepita e riconosciuta nella sua autentica natura, consente l’unica salvezza che è quella del riso. E in queste pagine di risate se ne fanno moltissime.