Sotto l’asfalto, la spiaggia? Da venerdì, il famoso slogan sessantottino del maggio francese sembra risuonare per le vie di Istanbul, rimbalzare nella capitale Ankara e in altre città della Turchia. Inizio della contestazione, piazza Taksim. Lì si trova il parco di Gezi con i suoi seicento alberi che il governo vorrebbe radere al suolo per far posto a un complesso di antiche caserme ottomane ricostruite e a un centro commerciale. Associazioni ambientaliste, sindacati, intellettuali e cittadini si sono rivolti a un tribunale amministrativo che ha dato loro ragione, ma i bulldozer sono comunque arrivati all’alba di venerdì. Attivisti e partiti di opposizione si sono messi letteralmente di traverso, la polizia è intervenuta, ha usato la mano pesante: gas lacrimogeni ad altezza d’uomo, idranti, manganelli, violente cariche. La popolazione è arrivata numerosa a dar manforte ai manifestanti, gli scontri si sono susseguiti. In due giorni, la protesta si è estesa alla capitale, a Bolu, a Mersin, a Bursa…

E’ il più importante movimento di contestazione al governo di Recep Tayyip Erdogan dal suo arrivo al potere, nel 2002. «Chiedo ai manifestanti di fermare immediatamente le proteste, per evitare altri danni ai turisti, ai pedoni e ai commercianti», ha detto subito il primo ministro turco, promettendo di riportare ordine in piazza Taksim. Nel paese e a livello internazionale, contro di lui si è levato però un coro di proteste per il brutale intervento della polizia. Secondo l’associazione dei medici turchi almeno sei persone hanno perso un occhio, altre hanno il cranio fratturato. Colpiti anche alcuni giornalisti. Secondo Amnesty international, che ha condannato «il ricorso eccessivo alla forza contro manifestanti pacifici» i feriti sono almeno un centinaio. Più di una sessantina i fermati. I dati ufficiali non ci sono.

Anche gli Stati uniti hanno tirato le orecchie a Erdogan, loro grande alleato sulla questione siriana, dicendosi «preoccupati per il numero di feriti tra i manifestanti a Istanbul», e hanno invitato Ankara a «rispettare la libertà di espressione, di associazione e di riunione che quelle persone stavano esercitando». La televisione siriana ha trasmesso in diretta le manifestazioni: «Le rivendicazioni del popolo turco non meritano tutta questa violenza, se Erdogan non sa ricorrere a mezzi non violenti deve dimettersi», ha commentato a Damasco il ministro dell’informazione, Omran Zoabi, rivolgendo comunque un invito «alla calma» alla piazza turca.

I manifestanti denunciano l’impatto ambientale dei piani faraonici decisi dal governo, l’intreccio di interessi e traffici nel giro di miliardi che accompagna le grandi opere come il terzo ponte sul Bosforo, iniziato mercoledì. Una contestazione politica che ha soprannominato il premier «l’uomo che gassa», o «Tayyip il chimico», lo ha accusato di derive autoritarie, di voler islamizzare il paese e ne ha chiesto a gran voce le dimissioni.
Erdogan ha però successivamente ribadito che i progetti andranno avanti. «La polizia c’era ieri, è di serviziooggi e lo sarà domani perché la piazza Taksim non può diventare il luogo in cui gli estremisti fanno quel che vogliono», ha dichiarato. Piazza Taksim a Istanbul come piazza Tahrir al Cairo? L’analogia è stata ripresa dai media. Per il presidente della Repubblica Abdullah Gül, che ha rivolto un appello alla calma, il «livello raggiunto dalle manifestazioni è inquietante». Prima della dichiarazione presidenziale, il vicepremier Bulent Arinc ha voluto porgere le sue «scuse» per i fatti di Istanbul: «Piuttosto che lanciare gas sulle persone che dicono ’non vogliamo un centro commerciale qui’, le autorità avrebbero dovuto convincerle e dire che le loro preoccupazioni erano condivise», ha affermato. Sullo sfondo, le elezioni del 2014 che si avvicinano, le amministrative e soprattutto le presidenziali in cui Erdogan sarà candidato e forse concorrerà con l’attuale presidente della Repubblica. Kemal Kiliçdaroglu, presidente del Partito repubblicano del popolo, principale antagonista del governo ha sfilato con i manifestanti che gridavano a Erdogan: «Non sei il padrone del paese».
E alla fine il premier ha smussato i toni. Ha promesso che verificherà se vi è stato abuso di potere da parte della polizia e ha ordinato di smilitarizzare la piazza. E i manifestanti sono tornati a occuparla.