Lo spiegamento di ingenti forze militari israeliane soffoca Hebron e altri centri abitati palestinesi ma non è riuscito a ritrovare i tre adolescenti scomparsi una settimana fa nella zona del blocco delle colonie di Etzion e che Israele ritiene ostaggio di una cellula armata. L’elenco degli arrestati si allunga di ora in ora nel quadro di una operazione, denominata “Brother’s keeper”, volta anche a smantellare la struttura in Cisgiordania del movimento islamico Hamas accusato dal premier israeliano Netanyahu di essere responsabile del rapimento dei tre ragazzi. Rapimento che non è stato ancora rivendicato da alcun gruppo credibile mentre Hamas ripete di non essere coinvolto. Nella notte tra martedì e mercoldì sono stati arrestati altri 64 palestinesi, tra cui 51 ex detenuti politici rilasciati nel 2011 nell’ambito dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas per la liberazione del caporale israeliano Ghilad Shalit. Il totale degli incarcerati nelle ultime ore è di oltre 200, 140 dei quali sono militanti e dirigenti dell’ala politica del movimento islamico. La lista include diversi parlamentari e anche Aziz Dweik presidente del Consiglio legislativo palestinese. Il pugno di ferro è stato criticato da più parti. Amnesty ha condannato il sequestro ma allo stesso tempo ha anche chiesto che le forze israeliane cessino la punizione collettiva imposta alla popolazione palestinese.

 

“Brother’s keeper” non è servita a riportare a casa i tre ragazzi ma sta comunque raggiungendo un altro dei suoi obiettivi: spingere o costringere il presidente dell’Anp e leader del movimento Fatah Abu Mazen a sganciarsi da Hamas, a due mesi dalla riconciliazione nazionale palestinese raggiunta dopo ben sette anni. Lo ha spiegato sul quotidiano Haaretz l’analista Amos Harel: «Il fine delle azioni israeliane è quello di dividere l’Autorità Nazionale Palestinese da Hamas e interrompere il processo di riconciliazione cominciato due mesi fa». E i risultati sono stati immediati. Hamas ha attaccato Abu Mazen, condannando in particolare il coordinamento di sicurezza con Israele, che, ha affermato, «arreca danno al morale dei prigionieri palestinesi e non è utile agli sforzi di riconciliazione». Qualche ora prima il presidente da Jedda, dove è in corso la Conferenza dell’Organizzazione islamica, aveva sostenuto che «Chi ha condotto il rapimento ci vuole distruggere», chiesto la restituzione immediata alle loro famiglie dei tre ragazzi e riaffermato la volontà di continuare a cooperare con le forze di sicurezza israeliane.