Difficilmente avrà qualche effetto la contrarietà manifestata dal procuratore generale Avichai Mandelblit. La commissione ministeriale per la legislazione è intenzionata a portare al voto della Knesset il disegno di legge che consentirà il “trasferimento forzato”, la deportazione, delle famiglie di palestinesi responsabili di attentati. La proposta viola i diritti umani e potrebbe sfociare in una condanna internazionale di Israele, fa notare Mandelblit. Ma i ministri israeliani fanno spallucce. Il loro obiettivo è autorizzare i comandi militari a “ricollocare”, così scrivono, i parenti degli attentatori, che saranno allontanati dalle loro case e portati in altre località, se non addirittura mandati a Gaza, già una prigione di fatto per oltre due milioni di persone.

I governi israeliani, non solo quello in carica, hanno sempre considerato il potere di deterrenza nei confronti di palestinesi, arabi e nemici, come «la pietra angolare della sicurezza». Non sorprende perciò che il premier Netanyahu abbia dato il suo pieno appoggio alla legge in cantiere. «I giuristi dicono che è contraria alla legge e che sarà contestata ma io non ho dubbi sull’efficacia di questo strumento», ha commentato. Secondo il ministro dell’istruzione Naftali Bennett, l’esercito è costretto a badare troppo alle leggi a danno della «lotta al terrorismo». I militari, spiega Bennett, piuttosto devono avere le mani libere e fare ciò che credono, incluse le deportazioni dei parenti degli attentatori che nella stragrande maggioranza dei casi colpiscono soltanto persone innocenti, anche bambini, e, lo pensano anche alcuni dirigenti dei servizi di sicurezza, non servono a nulla. Lo dimostrano le tante demolizioni di case degli attentatori eseguite sino ad oggi. La malattia da debellare piuttosto è l’occupazione militare e coloniale dei Territori palestinesi. Ma Israele non cambia politica. A Shweika (Tulkarem) ieri le ruspe dell’esercito hanno ridotto in un ammasso di macerie l’abitazione della famiglia di Ashraf Naalwa che lo scorso ottobre aveva ucciso due israeliani, nella colonia di Barkan. Naalwa è stato freddato la scorsa settimana da un commando israeliano nel campo profughi di Askar (Nablus).

La distruzione di case, edifici e strutture palestinesi è una pratica diffusa che va ben oltre i confini della reazione ad attentati. Nei giorni scorsi, denuncia l’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha), le forze armate israeliane hanno demolito la scuola della comunità beduina di As Simiya, a sud di Hebron, pronta ad aprire le sue sette aule a cinquanta studenti. Si trattava di una scuola fatta di cointainer, costata circa 40 mila euro, e avrebbe permesso ai ragazzi di non dover andare ogni giorno fino ad Al Samou, lontano alcuni chilometri. Invece per Israele quella scuola era illegale, assemblata senza il suo permesso. Adesso si teme che le ruspe entrino in azione anche a Khan al Ahmar, il piccolo insediamento beduino dove sorge la Scuola di gomme costruita dalla Ong italiana Vento di Terra, non ancora demolito grazie all’intervento dell’Ue e dell’Onu sul governo israeliano.

Israele la deterrenza la applica solo nei confronti dei palestinesi e non anche dei suoi coloni, protagonisti negli ultimi giorni di violente rappresaglie, a colpi di pietre, contro case e automobili palestinesi. Violenze criticate persino dall’inviato degli Stati uniti in Medio oriente Jason Greenblatt. A dare una mano ai coloni è anche il procuratore Mandelblit. Contrario alle deportazioni dei parenti degli attentatori, Mandelblit è stato pronto ad aprire la strada alla legalizzazione di 66 avamposti coloniali in Cisgiordania richiesta dal governo. Inoltre ieri sera Airbnb ha ritirato il provvedimento con il quale aveva eliminato dalle sue liste gli alloggi dei coloni indicati dai proprietari in Israele mentre si trovano in un territorio palestinese occupato.