Abu Khaled, nome di fantasia scelto dal nostro interlocutore, non sminuisce e non ingigantisce la portata e il significato dell’assassinio “mirato” dei comandanti militari di Hamas Raed al Atar, Mohammed Abu Shamala e Mohammed Barhoum, compiuto da Israele ieri mattina a Rafah. «Sono stati uccisi alcuni leader importanti di Ezzedin al Qassam (il braccio armato di Hamas), uomini che godevano di prestigio e che avevano carisma. Tuttavia – aggiunge – la catena di comando è fatta in modo che tutti siano sostituibili, subito. Il nemico può colpire sempre, perciò tutto è organizzato per affrontare qualsiasi situazione». Abu Khaled, che incontriamo grazie ad un collega palestinese, non fa parte di Ezzedin al Qassam ma conosce bene l’ala militare del movimento islamico e il suo modo di operare. Non ha problemi a rispondere alle nostre domande però evita di dare qualsiasi informazione sulla sorte di Mohammed Deif, il “capo di stato maggiore” di Hamas. Per gli israeliani Deif, la “primula rossa”, era nel palazzo polverizzato martedì notte dalle bombe dell’aviazione che hanno ucciso sua moglie, il figlio e un numero imprecisato di altre persone. Per Ezzedin al Qassam, invece il comandante in capo è sfuggito ancora una volta a un tentato assassinio.

Le spiegazioni di Abu Khaled appaiono convincenti. Certo, per il morale dei combattenti di Hamas, l’uccisione in 24 ore di tre importanti capi militari e, forse, di Mohammed Deif, pesa e non poco. Ma le Brigate Ezzedin al Qassam nel corso degli anni si sono date un’organizzazione interna, sofisticata e moderna – lo scrivono e lo dicono anche gli israeliani -, in grado di assorbire perdite di eccezionale importanza. Come hanno dimostrato gli sviluppi successivi all’uccisione di Salah Shehade, nel 2002, e quella di Ahmad Jaabari, nel 2012. Più di tutto Abu Khaled chiarisce un punto centrale a proposito dello scontro militare a tempo indeterminato con Tel Aviv. «Israele punta sul logoramento – ci dice -, colpisce Hamas e allo stesso tempo la popolazione, la case e le infrastrutture civili per sfiancare i palestinesi. Eppure è proprio Israele a rischiare di subire prima di Gaza gli effetti di una guerra di logoramento». La Striscia, aggiunge, «è abituata alla sofferenza, anche quando non c’è un’offensiva militare israeliana, deve fare i conti con mille difficoltà. I civili israeliani invece quanto ancora possono resistere? Certo non tanto come quelli palestinesi». In sostanza, spiega Abu Khaled, i razzi lanciati da Gaza se da un lato provocano danni materiali molto limitati, dall’altro sono una minaccia psicologica costante per la popolazione che vive a sud di Tel Aviv. Senza dimenticare i costi per il turismo (voce importante per l’economia israeliana) già cospicui e che potrebbero rivelarsi più gravi se Hamas, come ha minacciato, prenderà di mira in modo costante l’aeroporto internazionale Ben Gurion. Nonostante l’intenzione proclamata di andare avanti con l’offensiva militare e il sostegno avuto da gran parte dell’opinione pubblica, Netanyahu potrebbe vedersi costretto nel giro di qualche settimana a fare le concessioni ai palestinesi di Gaza che ora esclude categoricamente. Su questo punta la leadership di Hamas proclama resistenza ad oltranza.

Dall’altra parte del confine si guardano le cose in modo molto diverso. L’omicidio mirato di capi militari e di attivisti di Hamas è diventata la politica adottata da Israele dopo aver gestito e di fatto provocato il fallimento dei negoziati al Cairo escludendo l’accoglimento della richiesta palestinese di revoca dell’assedio di Gaza. Secondo Amos Harel, editorialista del quotidiano Haaretz, i “colpi” messi a segno negli ultimi giorni rappresentano il “successo” più importante ottenuto dal premier Netanyahu da quando l’8 luglio è cominciata l’operazione “Margine Protettivo”. Raed al-Atar, comandante di Hamas per la regione di Rafah aveva un grande prestigio per aver gestito i 5 anni di prigionia a Gaza del soldato israeliano Ghilad Shalit, scambiato nel 2011 con oltre mille detenuti politici palestinesi. Il suo assassinio, assieme a quello di Abu Shamala e Barhoum e unito a quello possibile di Mohammed Deif, sono il regalo che Netanyahu fa a un’opinione pubblica israeliana largamente insoddisfatta da “Margine Protettivo” nonostante il bagno di sangue di oltre 2mila palestinesi, gran parte dei quali civili, e la distruzione di migliaia di case ed infrastrutture a Gaza. Un “regalo” che rende più sopportabile i lanci di decine di razzi da Gaza avvenuto anche ieri.

Tra analisi e previsioni, il dato certo è che i civili di Gaza pagano il prezzo più alto dell’offensiva israeliana. Anche ieri l’aviazione ha colpito in continuazione la Striscia, in più di 60 punti. Il bilancio delle ultime ore è di una ventina di morti, non pochi dei quali bambini. Ieri l’esercito israeliano ha richiamato 10mila riservisti e non è da scartare la possibilità di una nuova offensiva di terra.