Il governo Netanyahu non commenta l’assassinio di due giorni fa in Iran di Mohsen Fakhrizadeh, lo scienziato a capo del programma di energia nucleare, e non reagisce alle accuse di Tehran. È la linea abituale, seguita sempre o quasi in circostanze simili in passato. Comunque obbligata. Ammettere la responsabilità dell’agguato compiuto da agenti del Mossad con l’aiuto di informatori locali, scatenerebbe la reazione militare di Tehran e la guerra tra i due paesi. Il premier israeliano perciò tace e si compiace degli applausi dell’alleato Donald Trump dopo l’omicidio di Fakhrizadeh, descritto sbrigativamente dai media occidentali e delle monarchie arabe del Golfo come il padre della bomba atomica iraniana, anche se Tehran sino ad oggi non ha assemblato un ordigno nucleare e ripete che le sue centrali producono solo energia elettrica e fanno ricerca. Tace anche il team del presidente Usa eletto Joe Biden che pure, secondo le previsioni, dovrebbe provare a riallacciare il dialogo tra Casa Bianca e Iran spezzato dalla decisione di Donald Trump di portare gli Stati uniti fuori dall’accordo internazionale del 2015 sul programma nucleare iraniano e dal ritorno delle sanzioni economiche e politiche contro Tehran.

Alla presunta linea conciliante verso l’Iran della futura Amministrazione Biden è dedicata l’analisi di David E. Sanger sul New York Times, il giornale che due giorni fa ha subito attribuito al Mossad israeliano l’assassinio di Fakhrizadeh. «Un attacco realizzato prima ancora che possa iniziare la sua diplomazia (di Biden) con Teheran. Questo potrebbe essere stato il motivo principale dell’operazione», sottolinea Sanger. Netanyahu, aggiunge, ha anche un secondo fine: «Non ci deve essere il ritorno al precedente accordo nucleare». Concorda Mark Fitzpatrick. «La ragione per assassinare Fakhrizadeh – spiega su Twitter l’ex responsabile per la non proliferazione nucleare del Dipartimento di Stato – «non era quella di bloccare il potenziale bellico dell’Iran bensì di impedire la diplomazia». «Straight to the point», dritto al punto, è andato subito, già venerdì, l’ex capo della Cia John Brennan parlando di un «atto criminale e altamente avventato», che porta al «rischio di una rappresaglia letale e ad un nuovo conflitto regionale». Brennan suggerisce ai leader iraniani «di attendere il ritorno sul palcoscenico globale di una leadership americana responsabile e di resistere all’urgenza di rispondere contro chi viene percepito come colpevole».

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Tehran ne è consapevole, Trump non attende altro che una reazione iraniana, come un attacco contro militari americani in Iraq, nel Golfo, o un’operazione armata contro Israele lanciata dal Libano o dalla Siria, per scatenare un’offensiva militare statunitense che riceverebbe l’approvazione e il sostegno di Israele e di non pochi paesi arabi, a cominciare dall’Arabia saudita. Nonostante ciò l’analista irachena Lahib Higel ritiene probabile la risposta di Tehran. «È possibile che assisteremo a ritorsioni in Iraq da parte di gruppi legati all’Iran», anche se, sottolinea Higel su Al Jazeera, la vittoria elettorale di Biden ha reso più complessa una decisione dei leader iraniani. «Da un lato – spiega l’analista – l’Iran e i suoi affiliati in Iraq vogliono mantenere una posizione di basso profilo fino a quando la squadra di Trump non lascerà l’incarico a gennaio, dall’altro è improbabile che non rispondano (all’assassinio di due giorni fa, ndr) prima di quel momento».

Se gli iraniani seguiranno il suggerimento di Brennan o si comporteranno come afferma Lahib Higel, è davvero arduo prevederlo. Il presidente Hassan Rohani propende per la linea prudente. «Israele pensa di creare il caos e di trascinare la regione nell’insicurezza, ma sa che non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi malvagi», ha detto. Al contrario i vertici delle Forze armate e dei Guardiani della Rivoluzione usano toni forti e sembrano spingere per il pugno di ferro. E ricordano l’uccisione a Baghdad all’inizio dell’anno del generale iraniano Qassem Soleimani ordinato da Donald Trump. La Guida suprema Ali Khamenei si posiziona a metà strada: chiede di «punire autori e responsabili» di «questo crimine» e al contempo di «continuare gli sforzi in campo tecnico e scientifico di questo martire in tutti i settori in cui stava lavorando». Andiamo avanti, in poche parole. Ed è ciò che farà l’Iran nelle previsioni degli israeliani. «Nonostante il colpo al morale – scrive il quotidiano Haaretz – l’Iran comunque troverà uno scienziato nucleare altrettanto talentuoso dell’assassinato Fakhrizadeh».