Abu Mazen da qualche giorno non manca occasione per ribadire il suo appoggio alla cooperazione di sicurezza con Israele e di confermare che l’intelligence ai suoi ordini sta facendo il possibile per fermare l’Intifada. Il presidente palestinese non ha aperto bocca, almeno fino a ieri sera, sulla decisione della Compagnia israeliana della corrente elettrica, presa con ogni probabilità con il consenso del governo Netanyahu, di tagliare in parte la fornitura di elettricità alle città della Cisgiordania. Dopo Gerico e, due giorni fa, Betlemme, ieri è stata la volta di Hebron di rimanere per alcune ore senza elettricità. E nelle prossime due settimane la Compagnia israeliana cesserà parzialmente l’erogazione in altre città cisgiordane per impedire, dicono i suoi dirigenti, che continui a crescere il debito accumulato dalla Società di distribuzione palestinese e dall’Autorità Nazionale di Abu Mazen di circa 1,7 miliardi di shekel, quasi 400 milioni di euro.

I palestinesi sotto occupazione, dipendenti dall’energia prodotta in Israele, non negano l’esistenza del debito ma considerano il taglio dell’elettricità «una punizione collettiva» contro la popolazione della Cisgiordania per la nuova Intifada cominciata lo scorso ottobre. Qualcuno ipotizza una forma di pressione escogitata dal premier Netanyahu nei confronti dell’Anp. Il comune di Hebron nega di avere debiti. «La Hebron Electric Power Company negli ultimi tre anni ha sempre pagato tutto, le accuse (della compagnia israeliana) sono infondate», ha protestato il vicesindaco Judie Abu Sneina. Rabbia anche a Betlemme dove l’interruzione dell’elettricità lunedì ha colpito il settore turistico proprio nel periodo in cui la città celebra la lunga Pasqua delle varie Chiese cristiane. La Compagnia israeliana però non intende fare marcia indietro, vuole i 400 milioni di euro e un compromesso appare lontano.

Poco alla volta la Cisgiordania rischia di ritrovarsi nella stessa condizione di Gaza dove l’elettricità è disponibile solo per poche ore al giorno. A Gaza intanto rischia di interrompersi la prima parziale ricostruzione di case ed edifici avviata da una parte delle famiglie palestinesi che avevano avuto l’abitazione distrutta dai bombardamenti israeliani del 2014. I comandi militari israeliani hanno annunciato che non faranno più entrare il cemento a Gaza, perchè quello autorizzato in precedenza sarebbe stato usato dall’ala militare di Hamas per costruire gallerie sotterranee e postazioni fortificate.