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Israele sospesa tra guerra allargata o cessate il fuoco

Israele sospesa tra guerra allargata o cessate il fuocoProteste a Tel Aviv per il cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi foto Ansa

Medio Oriente Dopo il 7 ottobre, mentre l’attenzione era per Gaza, iniziavano due processi gravi: in Cisgiordania cresceva la repressione militare e a nord cadevano i primi missili di Hezbollah

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 27 settembre 2024

Mentre scrivo, le sirene di allarme suonano in diversi punti del nord di Israele mentre vari missili raggiungono la destinazione; il numero di morti e l’entità dei danni non sono ancora noti. Secondo la radio e la tivù, sembra sicuro che nelle prossime ore si possa concludere un accordo di cessate il fuoco.

Dopo la sorpresa e il trauma dell’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023 nel sud del paese, l’8 ottobre Israele ha visto i missili iniziare a cadere nel nord. Non essendoci una invasione come nel sud, l’attacco da parte di Hezbollah era passato abbastanza inosservato, malgrado gli abitanti feriti e le case distrutte. Mentre tutta l’attenzione – non solo in Israele – era rivolta agli accadimenti nel sud del paese, a Gaza, alla guerra contro Hamas e contro i palestinesi, avevano inizio due processi molto gravi, eppure quasi ignorati dai media e dall’opinione pubblica. Non solo in Israele, ma anche a livello internazionale. In Cisgiordania si intensificava la repressione contro i palestinesi. L’ultra destra e i coloni nei territori occupati provocavano incidenti e violenze, l’esercito inaspriva la repressione, la resistenza palestinese reagiva.

Nel nord, lontano dagli occhi della stampa israeliana e internazionale, cresceva un effetto sconosciuto degli attacchi terroristici da parte di Hezbollah: la vita quotidiana diventava impossibile, molte persone si vedevano obbligate a lasciare le proprie case in diverse aree. Sì allargava la regione interessata dagli attacchi di Hezbollah, ogni giorno più pericolosi e insostenibili.

Da allora, oltre 100mila israeliani hanno abbandonato la propria vita abituale; le abitazioni sono diventate inabitabili e e i luoghi di lavoro impraticabili. Lo stesso sistema educativo non ha più potuto funzionare normalmente. Così, il pericolo quotidiano ha portato molte persone a lasciare la regione, provvisoriamente oppure no.

Mentre nel sud il governo israeliano si era arreso davanti a un colpo traumatico e aveva aiutato a ricollocare gli abitanti in fuga dalle case distrutte e dai kibbutz bruciati, nel nord la popolazione si sentiva attaccata da Hezbollah, ma non solo: cresceva un senso generale di rabbia contro il governo israeliano che sembrava aver abbandonato quegli abitanti. E in realtà, non era solo un’impressione. Netanyahu e i suoi non solo non cercavano di aiutare gli sfollati del nord, ma non si occupavano di nessun problema serio degli israeliani.

Decine di migliaia di palestinesi assassinati, la distruzione inaudita di Gaza sono stati la cifra dominante della prosecuzione della guerra. Per preservare il proprio governo, per evitare di essere spedito eventualmente in carcere in uno dei casi legali che dovrebbero perseguirlo nel prossimo futuro, per recuperare grazie alla guerra un ruolo politico oggi deteriorato, il premier vorrebbe prolungare il conflitto all’infinito.

Oltre 100 prigionieri israeliani nelle mani di Hamas (si calcola che la metà siano morti) continuano a essere al centro dell’attenzione popolare in Israele, nelle proteste contro il primo ministro e gli altri membri del governo. Quando si credeva che l’accordo con Hamas fosse imminente, Netanyahu è stato capace di introdurre clausole che l’hanno reso impossibile. La furia è poi arrivata alle stelle quando Hamas ha ucciso sei prigionieri che sarebbero stati tra i primi a essere liberati in caso di accordo.

In questa difficile situazione e quando il premier ha voluto allontanare dal governo il ministro della difesa, un fatto nuovo ha cambiato la situazione. Con gli stratagemmi dei servizi segreti israeliani, in Libano i cercapersone di migliaia di attivisti di Hezbollah sono esplosi, uccidendo molte persone e ferendone altre migliaia. Una prova, fra l’altro, di infiltrazioni in Hezbollah.

Come se non bastasse, il giorno sono esplosi altri strumenti di comunicazione. E mentre tutti commentavano il carattere altamente sofisticato degli attacchi, è arrivato il terzo giorno: uno dei leader militari dell’organizzazione ha indetto un incontro speciale con la presenza di varie figure chiave dell’alto comando di Hezbollah. Peggio ancora: l’incontro è avvenuto a Dahia, quartier generale dell’organizzazione a Beirut. Un missile israeliano di altissima precisione ha distrutto il luogo, uccidendo i partecipanti. Liquidando una parte importante dell’élite militare.

Il giorno seguente, Nasrallah ha voluto dimostrare di avere ancora in mano una sufficiente potenza militare. Centinaia di missili cadono su Israele. I successivi, ripetuti attacchi della forza aerea israeliana avrebbero liquidato decine di migliaia di proiettili da Hezbollah. Ma si tratterebbe solo del 40 o 50% dei missili ad alta portata a disposizione della milizia. Uno di quelli che rimangono ha raggiunto Tel Aviv, come promesso da Nasrallah. Netanyahu parlerà oggi all’Onu. I suoi discorsi demagogici esprimeranno la debolezza dell’ex sedicente «grande eroe».

L’attenzione di queste ultime ore è legata alle parole del presidente dell’Iran Pezeshkian che ha promesso aiuto «al Libano e all”organizzazione di Hezbollah», se la guerra si dovesse estendere. I presidenti Joe Biden ed Emmanuel Macron, gli inglesi e gli altri sembrano avvicinarsi a una mediazione su un accordo verso il cessate il fuoco. Ma Netanyahu dice ancora no, perchè sente la pressione dell’ultradestra. E gli abitanti del nord di Israele stanno già cominciando a esprimere la propria opposizione all’eventuale accordo perché si vedono di nuovo abbandonati in una situazione insostenibile.

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