Benyamin Netanyahu ieri, chiedendo alla Knesset di ratificare l’Accordo di Abramo, ha sottolineato i progressi continui della  normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati cominciata ad agosto e segnata in queste settimane da eventi simbolici. Come il primo volo, della Etihad, partito due giorni fa da Milano e diretto ad Abu Dhabi, che ha sorvolato per la prima volta lo spazio aereo israeliano. La soddisfazione del premier è ampiamente giustificata. Gli Emirati – e così il Bahrain, l’altra monarchia del Golfo che il 15 settembre ha firmato l’Accordo di Abramo con Israele – attuano senza esitazioni la loro parte delle intese. E non aprono bocca sulle politiche di Israele nei Territori occupati e nei confronti dei palestinesi. Eppure ad agosto gli emiratini avevano enfatizzato lo stop al piano di Netanyahu per l’annessione unilaterale di una porzione di Cisgiordania ottenuto in cambio della normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico. Una frenata che il capo del governo israeliano ha sempre descritto come temporanea. Netanyahu peraltro esclude che l’Accordo di Abramo comprenda la promessa di un congelamento della colonizzazione dei territori palestinesi. I fatti sono dalla sua parte.

 

Abu Dhabi e Manama restano mute mentre palestinesi e Onu si appellano al rispetto della legalità internazionale e condannano l’approvazione, ieri e mercoledì, da parte dell’Amministrazione civile israeliana in Cisgiordania dei piani per la costruzione di circa 5mila nuove case nelle colonie ebraiche. «Siamo di fronte alla follia degli insediamenti israeliani – ha denunciato Nabil Abu Rudeina, il portavoce del presidente palestinese Abu Mazen – il governo di Benyamin Netanyahu è determinato a procedere nelle sue politiche di insediamento per rubare terra palestinese, nel silenzio internazionale e della normalizzazione e con il cieco supporto di Trump». In silenzio è rimasta anche l’Arabia saudita su cui Washington e Tel Aviv premono per spingerla ad unirsi al più presto ai paesi firmatari dell’Accordo di Abramo. Le monarchie del Golfo e altri paesi arabi dipendenti dall’alleanza con gli Usa hanno usato come paravento la blanda condanna della nuova accelerazione della colonizzazione israeliana fatta dalla Lega araba, consesso di pura facciata controllato proprio da Riyadh e Abu Dhabi.

 

L’annuncio della prossima costruzione dei 5mila nuovi alloggi è stato accolto con entusiasmo da Shlomo Neeman, figura di primo piano del movimento dei coloni israeliani, che si è congratulato con Netanyahu. «Quello che conta – ha commentato Neeman – è che un numero crescente di ebrei si stabiliscano nella terra dei padri, per sempre». L’espansione degli insediamenti ebraici, ha aggiunto, rientra «in un piano strategico per il rafforzamento della nostra presa in Giudea-Samaria», i nomi biblici della Cisgiordania. L’ong pacifista Peace Now riferisce che nel 2020 Israele ha approvato 12.159 nuovi alloggi nelle colonie, il numero più alto dal 1967, anno di inizio dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. E non è finita, aggiunge: altre decisioni sono attese da qui alla fine di dicembre. Tutti gli alloggi approvati sorgeranno in aree che Israele dovrebbe lasciare nel quadro della soluzione a Due Stati, ossia la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano accanto a Israele. «Il piano di annessione della Cisgiordania con l’espansione delle colonie sta chiaramente continuando», mette in rilievo Peace now.

 

Circa 450.000 coloni ebrei si sono insediati in Cisgiordania dopo l’occupazione.  E almeno altri 250mila vivono nella zona palestinese (Est) di Gerusalemme, anch’essa occupata secondo le risoluzioni internazionali.