«Il personale dell’Ohchr deve ottenere i visti. Quei permessi sono stati rilasciati per decenni da Israele al personale dell’Ohchr nei Territori palestinesi occupati (Tpo). Ora l’ufficio di cui sei responsabile ha deciso di sospendere il rilascio dei visti ostacolando così il lavoro del Commissario (per i diritti umani). Questi tentativi di censura falliranno: non riusciranno a nascondere le conseguenze della politica di Israele e le violazioni dei diritti umani che commette nei Tpo e non metteranno a tacere il nostro lavoro o quello dei nostri colleghi (stranieri)». Così 17 organizzazioni per i diritti umani e della società civile in Israele – tra le quali Adalah, Gisha, B’Tselem, Yesh Din, Rompere il silenzio – hanno scritto in una lettera indirizzata al ministro degli esteri Gabi Ashkenazi, per protestare contro la decisione del governo Netanyahu di non rilasciare più permessi di lavoro ai funzionari stranieri dell’Ohchr, l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani Michelle Bachelet. Le autorità israeliane non hanno ancora risposto a queste accuse.

 

Siamo di fronte, dicono gli attivisti dei diritti umani, a una ritorsione per la lista diffusa lo scorso 12 febbraio dall’Ohchr con i nomi delle 112 aziende israeliane ed internazionali che svolgono attività negli insediamenti coloniali ebraici costruiti dopo l’occupazione militare nel 1967 in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Aziende che rischiano sanzioni. Sino ad oggi però non si è appreso di alcun provvedimento nei loro confronti. Le 17 ong affermano che il mancato rilascio dei visti è «l’ultima di una serie di misure» delle autorità israeliane che hanno colpito diversi difensori dei diritti umani. E citano le restrizioni ai movimenti per Laith Abu Zeyad, dell’ufficio di Ramallah di Amnesty International; l’espulsione del direttore in Palestina di Human Rights Watch  Palestina, Omar Shakir; e la campagna contro il direttore di Al-Haq, Shawan Jabarin, etichettato un «terrorista in giacca e cravatta». Ricordano anche il favore con cui il premier Netanyahu ha accolto la decisione dell’Amministrazione Trump di approvare sanzioni contro la Corte penale internazionale dell’Aia.

 

Il governo Netanyahu, dopo la diffusione della lista delle 112 aziende che operano nelle colonie, aveva subito minacciato sanzioni nei confronti dell’Ohchr che accusa di antisemitismo e di prendere di mira sistematicamente lo Stato ebraico perché controllato da paesi nemici di Israele. L’ex ministro degli esteri Israel Katz aveva disposto «misure eccezionali e dure» contro l’ufficio di Michelle Bachelet descrivendolo «al servizio della campagna Bds», il movimento internazionale per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele per le sue politiche nei confronti dei palestinesi sotto occupazione. Una linea dura pienamente condivisa dall’Amministrazione Trump. Così in questi ultimi mesi gli uffici dell’Ohchr nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania si sono svuotati dei loro funzionari internazionali. Almeno nove membri della commissione Onu sono stati costretti a partire, riferiva nei giorni scorsi il portale Middle East Eye. Avevano richiesto secondo la procedura in uso l’estensione dei permessi ma dal ministero competente i loro passaporti sono tornati senza il timbro di rinnovo. I visti di altri tre funzionari dell’Ohchr scadranno presto. La giornalista israeliana Amira Hass ha scritto qualche giorno fa sul suo giornale, Haaretz, che lo scopo del governo Netanyahu sarebbe quello di «mettere a tacere e paralizzare qualsiasi opposizione internazionale all’occupazione e alle colonie».