«Non abbiamo bisogno del permesso di Israele, le elezioni a Gerusalemme Est possiamo tenerle ugualmente, in ogni modo possibile, sfidando l’occupazione israeliana». Khaled Abdel Hadi, simpatizzante della lista elettorale Hurriya, ci spiegava ieri sera la sua soluzione al divieto, non dichiarato ufficialmente da Israele, alla partecipazione al voto del 22 maggio dei palestinesi di Gerusalemme Est, la zona araba della città, sebbene questo diritto sia affermato dagli accordi di Oslo firmati dalle due parti nel 1993. Abdel Hadi ci parlava mentre in diretta tv, da Ramallah, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen faceva il resoconto politico delle settimane per preparare la sua gente al rinvio delle elezioni, legislative e presidenziali. Il leader dell’Anp ha riferito che il governo uscente di Netanyahu non ha mai risposto alla richiesta di tenere il voto a Gerusalemme Est «poiché non c’è un nuovo esecutivo in Israele». Ha spiegato di aver cercato invano più volte di coinvolgere europei e americani. Ha infine affermato che «non appena Israele darà il suo consenso terremo le elezioni in una settimana». E con queste poche parole ha comunicato il rinvio di un voto atteso per 15 anni,  per lo sgomento della sua gente.

Il presidente dell’Anp Abu Mazen

Per tutto il giorno, ad eccezione della lista ufficiale di Fatah, tutte le fazioni palestinesi avevano detto di essere contrarie al rinvio del voto. A nulla sono servite le petizioni, le dichiarazioni pubbliche, la decisione degli islamisti di Hamas e Jihad di non partecipare alla riunione di Ramallah. Hamas ha anche fatto la voce grossa. «La nostra posizione è chiara – ha detto un suo portavoce – ci opponiamo a questo rinvio e non daremo il nostro aiuto a che questo avvenga». Analoga la posizione espressa dalla sinistra palestinese e da altre fazioni. Non c’è stato nulla da fare. Perché la decisione di non andare al voto era già stata presa da Abu Mazen e dai vertici di Fatah e il no di Israele alle elezioni a Gerusalemme Est ha solo fornito il motivo giusto, o il pretesto, per fermare tutto alla vigilia della campagna elettorale di fronte alla possibilità concreta di un insuccesso di Fatah il 22 maggio e di Abu Mazen alle presidenziali del 31 luglio. Altri motivi sono la «preoccupazione» di Israele, Stati uniti, Giordania ed Egitto per il rafforzamento di Hamas, che già controlla Gaza, anche in Cisgiordania.

Abu Mazen aveva immaginato le legislative come un mezzo per unificare le fazioni palestinesi sotto la sua guida, con il suo partito Fatah vincitore. E le presidenziali una formalità volta a legittimarlo agli occhi non tanto dei palestinesi quanto degli Usa e dell’Ue, nell’era di Joe Biden in cui il presidente palestinese ritiene verranno create le condizioni per un nuovo negoziato con Israele. Ma 15 anni dopo la catastrofe elettorale del 2006, Fatah non ha ancora superato il trauma del fallimento degli Accordi di Oslo mentre resta alta la sfiducia nella sua gestione governativa. Le tendenze nei sondaggi lo hanno confermato.

A dare il colpo finale alle speranze di Abu Mazen è stata la decisione di Marwan Barghouti, da 19 anni in carcere in Israele e prigioniero politico molto popolare, di dare il suo appoggio ad una lista di dissidenti di Fatah e di valutare concretamente la possibilità di candidarsi alle presidenziali del 31 luglio. Un pugno allo stomaco dell’anziano leader dell’Anp, candidato per Fatah. Un sondaggio svolto Jerusalem Media and Communication Center tra il 3 e il 13 aprile, indicava che il 33,5% degli intervistati voterebbe per Barghouthi, il 24,5% per Abu Mazen, il 10,5% per il leader di Hamas Ismail Haniyeh e il 31,5% è indeciso. Ad aggravare le previsioni nere di Abu Mazen c’è anche il 93% dei 2,3 milioni di palestinesi che si sono registrati per le elezioni indicando un desiderio di rinnovamento.

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Cosa accadrà ora nelle strade di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. L’incertezza regna nella città santa dove la tensione è alta dopo la decisione, revocata solo qualche giorno fa da Israele, di transennare la Porta di Damasco e limitare l’ingresso dei palestinesi nell’area della Spianata di al Aqsa durante il mese di Ramadan. Gli scontri tra giovani palestinesi e polizia potrebbero intensificarsi di nuovo per il no di Israele alla partecipazione alle elezioni dell’Anp di Gerusalemme Est. Sono possibili anche proteste contro Abu Mazen e Fatah in Cisgiordania e Gaza. «Ma non credo che Hamas andrà allo scontro» spiega al manifesto l’analista Ghassan Khatib «per qualche giorno (gli islamisti) terranno acceso il fuoco della contestazione evitando l’escalation. Per due motivi: hanno già guadagnato consensi a danno di Abu Mazen e sono soggetti a pressioni esterne (del Qatar, ndr) affinchè tengano una posizione di profilo basso».