“Dal pluralismo polarizzato al pluralismo centripeto”, la nota teoria con cui Paolo Farneti negli anni Settanta spiegò la svolta nella politica italiana, in particolare nella sinistra, si applica bene anche alla sinistra israeliana. Perché il dato più interessante alla chiusura, giovedì, della presentazione delle liste per le elezioni israeliane del 17 settembre – cinque mesi dopo l’inutile vittoria di Benyamin Netanyahu e del Likud al voto del 9 aprile (il premier non è riuscito a formare la nuova maggioranza di destra) – è la folle corsa al centro di ciò che resta della sinistra. Incluso il Meretz, la sinistra sionista, che tra ambiguità e difficoltà in questi anni ha cercato di portare avanti un’agenda sociale e l’idea dello Stato palestinese che la destra nelle sue varie espressioni ormai esclude del tutto.

Spaventato dai pessimi risultati ottenuti dal partito il 9 aprile (4 seggi), il nuovo leader del Meretz, Nitzan Horowitz, si è lasciato sedurre dall’appello all’unità lanciato dall’ex primo ministro e capo di stato maggiore Ehud Barak, ritornato in politica ma tenendosi a distanza dal «partito dei generali», Blu e Bianco, guidato da Benny Gantz. Così è nata l’“Unione democratica” che mette insieme Barak, il Meretz e la deputata ex laburista Staf Shaffir, nel 2011 leader della versione locale degli “Indignati”. Accreditata inizialmente dai sondaggi di 10 seggi, oggi la lista è data a sei-sette seggi. «Quella del Meretz è stata una scelta folle, irrazionale» ci dice il politologo Michael Warshansky «non capisco come Horowitz possa aver deciso di allearsi con Barak che ideologicamente non appartiene alla sinistra ed è noto per il suo cinismo. Alleandosi con Barak, il Meretz accetta di moderare il suo programma, in Israele e verso i palestinesi». Secondo Warshansky il problema è «l’ossessione di gran parte dell’opposizione di mandare a casa Netanyahu. Me lo auguro anche io naturalmente ma il vero tema deve essere come ricostruire la sinistra sulla base dei suoi valori, in un paese che da anni ha virato decisamente a destra e di cui Netanyahu è solo l’espressione più compiuta». Non è insignificante il fatto che Horowitz, Barak e Shaffir non abbiano fatto riferimenti alla soluzione a “Due Stati” (Israele e Palestina) presentando la lista alla stampa.

I laburisti, precipitati il 9 aprile a solo sei seggi, non sono saliti sul carrozzone di “Unione democratica”. Il nuovo leader, Amir Peretz ha respinto l’iniziativa di Barak. Tuttavia invece di tentare un rilancio a sinistra del partito e di cercare una fusione con il Meretz, si è alleato con il partito di centrodestra Gesher di Orli Levi-Abekasis. «Anche Peretz, che pure ha un passato dignitoso di leader sindacale, ha fatto una mossa irrazionale puntando a destra», commenta Warshansky «Come Barak anche lui non comprende che l’elettorato di centro e di destra non voterà mai per lui, sceglierà l’originale, ossia Blu e Bianco o il Likud e l’ultradestra».

Netanyahu perciò dorme tranquillo. I sondaggi sono a favore di una nuova maggioranza di destra, anche per l’unità elettorale raggiunta da gran parte dell’estrema destra, e i suoi avversari dopo il 17 settembre difficilmente potranno impensierirlo. I problemi di Netanyahu sono solo due al momento: la magistratura che potrebbe mandarlo sotto processo per corruzione e l’ex ministro Avigdor Lieberman, il leader del partito Yisrael Beitenu. Lieberman ha giocato abilmente le sue carte quando ha rifiutato di unirsi alla coalizione di Netanyahu dopo le elezioni di aprile in nome della lotta ai partiti religiosi ultraortodossi. Aver aperto la strada alle nuove elezioni non ha danneggiato le sue possibilità. Al contrario i sondaggi indicano che potrebbe raddoppiare il numero di seggi ottenuti ad aprile (cinque). Vuole un governo di unità nazionale senza i religiosi. Se Netanyahu non lo asseconderà, si sposterà dalla parte di Gantz.