Dopo la chiusura dell’aeroporto internazionale di Tel Aviv fino al 31 gennaio, oggi Israele sigillerà anche i confini di terra con Egitto e Giordania. Sempre oggi il governo Netanyahu dovrà decidere se estendere il lockdown nazionale che scade questo fine settimana. E tutto lascia prevedere che sarà rinnovato per un’altra settimana, forse due. L’emergenza coronavirus non rallenta nel paese. Sebbene l’immunizzazione di massa proceda ad alta velocità – dal 20 dicembre fino a due giorni fa 2.768.202 israeliani avevano ricevuto la prima dose del vaccino e 1.377.803 la seconda – il contagio resta elevato. Il virus circola in modo sostenuto e il lockdown in corso, a differenza delle precedenti due chiusure, non riesce ancora a dare risultati apprezzabili. I dati di due giorni fa riferiscono di 7.737 nuovi casi con il 9,6% dei tamponi che è risultato positivo. Degli infetti, 1207 sono in condizioni critiche e 311 intubati. Ma è l’aumento dei decessi che impressiona di più. Dei 4.539 morti registrati da marzo 2020 fino a ieri, il 26% è composto dalle vittime del solo mese di gennaio, non ancora terminato.

Le autorità israeliane speravano in un calo più rapido del contagio grazie alla campagna di vaccinazione. Le cose non sono andate secondo le previsioni degli specialisti e del premier Netanyahu che a dicembre aveva parlato di Israele come del primo paese al mondo «che uscirà dal tunnel» della pandemia e tornerà alla normalità. Un ottimismo esagerato legato alla campagna elettorale per le legislative di fine marzo, quando Israele dovrebbe aver vaccinato – prima e seconda dose – tra quattro e cinque milioni di cittadini. A far saltare i piani del premier e le aspettative degli esperti del ministero della sanità è stata la mutazione britannica del virus, ormai prevalente in Israele, in possesso di una capacità più ampia di infettare e, pare, di provocare un numero superiore di malati gravi. Il vaccino Pfizer di cui Israele si è procurato diversi milioni di fiale – pagandole di più, si dice, e proponendosi come una sorta di paese-laboratorio per il colosso farmaceutico statunitense – pare efficace contro la mutazione britannica ma non è detto che lo sia al 100% contro la sudafricana e la brasiliana. Per questo, nel tentativo di isolarle, Israele ha chiuso l’aeroporto e i valichi di terra. «Queste due varianti ci preoccupano molto. Soprattutto il ceppo brasiliano che sembra più resistente al vaccino, ma non abbiamo ancora un risultato certo al riguardo», ha spiegato alla Knesset Roy Singer, vicedirettore del dipartimento di epidemiologia al ministero della sanità.

Uno dei pochi segnali positivi viene dal coefficiente di infezione (il fattore R) sceso al di sotto di 1 (a 0,9) e lentamente comincia a stabilizzarsi il numero degli ingressi nelle terapie intensione che nelle ultime settimane ha fatto temere il collasso di alcuni ospedali. Il quadro però resta serio. Il quotidiano Haaretz ieri scriveva che nessuno nelle autorità sanitarie aveva previsto questi scenari drammatici. «È possibile che le nostre aspettative non fossero realistiche. Senza il lockdown però i numeri (del contagio) sarebbero doppi se non superiori», ha spiegato al giornale un funzionario del ministero della sanità favorevole al prolungamento della chiusura.

Non è detto che la popolazione, che stenta a rispettare le restrizioni imposte dalle politiche di contenimento del contagio, accetti l’estensione del lockdown che ha aggravato la crisi economica e la disoccupazione. A ciò si aggiunge la protesta dei religiosi ultraortodossi – haredim – che nelle strade di Gerusalemme, Bnei Brak e di altre località da giorni si scontrano con la polizia. I religiosi contro le disposizioni del governo tengono aperte le loro scuole sebbene la mutazione britannica si stia rivelando contagiosa e pericolosa anche tra i più giovani. Intanto l’Onu chiede a Israele di rendere disponibili i vaccini anche ai palestinesi nei territori che occupa dal 1967. «È fondamentale per controllare la pandemia e in linea con gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale», ha detto Tor Wennesland, l’inviato delle Nazioni unite per Israele e Territori occupati.