Secco no di Israele, anche questa volta, all’inchiesta del Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani (CODU). Mercoledì sera le autorità israeliane hanno impedito l’ingresso ai componenti della Commissione guidata dal giudice canadese William Schabas, proveniente da Amman, incaricata di accertare i crimini di guerra commessi da Israele, ma anche dall’ala militare di Hamas, durante i 50 giorni dell’offensiva “Margine Protettivo” la scorsa estate contro Gaza. La commissione ieri era ferma nella capitale giordana, in attesa di decisioni israeliane di segno diverso che però non arriveranno. Il governo Netanyahu ha ribadito che non collaborerà in alcun modo con l’indagine «Dal momento che la Commissione Schabas – ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri Emmanuel Nahshon – non è una commissione d’inchiesta bensì una commissione che fornisce conclusioni in anticipo».

 

I rapporti tra Israele e il CODU si sono fatti difficili negli ultimi anni, specialmente da quando Benyamin Netanyahu è primo ministro. Secondo Tel Aviv il Consiglio, su pressione dei Paesi arabi, prenderebbe di mira Israele trascurando crisi e conflitti in Medio Oriente e in altre parti del mondo che, sempre a detta dei dirigenti dello Stato ebraico, sarebbero più gravi ed importanti. Israele aveva già boicottato la commissione d’inchiesta istituita nel 2009 dopo l’offensiva “Piombo fuso” sempre contro Gaza. Il rapporto, alla fine delle indagini svolte dalla Commissione guidata dal giudice sudafricano Richard Goldstone, arrivava alla conclusione che Israele e in misura molto minore i gruppi armati palestinesi erano colpevoli di crimini di guerra e contro l’umanità. Preso di mira dai media israeliani e dal governo Netanyahu, il giudice Goldstone, peraltro di origine ebraica, qualche tempo dopo fece una parziale retromarcia sulle accuse rivolte a Israele nel suo rapporto. E accuse pesanti sono state rivolte anche a Schabas che, da parte sua, nega con forza di essere schierato pregiudizialmente contro Israele, come qualche mezzo d’informazione locale sostiene riportando la presunta intenzione affermata lo scorso agosto dal giudice canadese di «portare Netanyahu davanti alla Corte Penale Internazionale».

 

In ogni caso, come avvenuto con Goldstone, anche Schabas non avrà modo di ascoltare rappresentanti ufficiali e testimoni israeliani nel corso delle sue indagini. Nei prossimi giorni, passando per il valico di Rafah, il giudice canadese dovrebbe entrare a Gaza dove tra luglio e agosto sono stati uccisi circa 2200 palestinesi e almeno 11 mila sono stati feriti dai bombardamenti israeliani. Molte delle vittime erano donne e bambini (i morti israeliani sono stati 71, quasi tutti soldati). A queste perdite si aggiunge la distruzione totale o parziale di decine di migliaia di case ed edifici. I palestinesi hanno denunciato massacri di civili. Il governo Netanyahu replica che sarebbe Hamas responsabile della morte di persone innocenti perchè i suoi combattenti avrebbero sparato razzi da aree densamente popolate, esponendole alle reazioni delle forze armate israeliane.

 

E ad Amman ieri sera era atteso proprio il primo ministro israeliano, per un vertice a tre con il re di Giordania Abdallah ed il Segretario di stato americano John Kerry. Un incontro volto a discutere come allentare le tensioni a Gerusalemme e che segue i colloqui, sullo stesso punto, avvenuti nel pomeriggio tra Kerry, re Abdallah e il presidente dell’Anp Abu Mazen. Un attacco diretto alle «iniziative unilaterali a Gerusalemme», ossia alla colonizzazione israeliana nella zona araba della città, e ai blitz degli ebrei ultranazionalisti sulla Spianata delle moschee, è partito dal re giordano, irritato della linea del governo Netanyahu. Una forte critica ai piani edilizi israeliani nei Territori palestinesi occupati è giunta ieri anche dal Dipartimento di stato Usa, dopo l’annuncio che saranno costruite altre 200 abitazioni nell’insediamento colonico di Ramot, nella zona araba di Gerusalemme.

 

Commentando la tensione, gli attentati e gli scontri tra palestinesi e militari israeliani che si ripetono da settimane, Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp ha spiegato che non siamo di fronte a una nuova Intifada. «I recenti attacchi – ha detto durante una conferenza stampa a Ramallah – sono la risposta di singoli (palestinesi) frustrati dalle continue provocazioni israeliane sulla Spianata delle Moschee, dalla costruzione di nuove colonie e dalla giudaizzazione di Gerusalemme».