L’Agenzia per la sicurezza americana (Nsa) ha condiviso con Israele le informazioni intercettate illegalmente, in entrata e in uscita dagli Usa. Lo ha rivelato il Guardian, attingendo nuovamente al Datagate. Le collaborazioni fra intelligence di diversi paesi – spiega il giornale britannico – sono frequenti. L’anomalia è che lo scambio sia avvenuto su dati non filtrati, e abbia così violato la privacy degli statunitensi e non solo. La Nsa e il gemello israeliano Insu hanno infatti stilato un accordo per scambiarsi i dati su milioni di comunicazioni internet e telefoniche. Il documento di cinque pagine, che sembra del marzo 2009, non precisa se il tribunale segreto incaricato di controllare le attività della Nsa, il Foreign Intelligence Surveillance Court (Fisc) abbia dato il suo accordo all’operazione. Sulla carta, la legge nordamericana che regola le attività della Nsa vieta di spiare le comunicazioni dei cittadini Usa o di quelli stranieri che risiedano legalmente sul suo territorio, in assenza di validi motivi.
Le rivelazioni di Edward Snowden, l’ex consulente Cia che ha fatto conoscere il più grande scandalo delle intercettazioni illegali messo in campo dalle agenzie di intelligence Usa a livello planetario, hanno invece dimostrato che la Nsa agiva al di sopra delle leggi, violando le norme internazionali e quelle del paese. Uno strapotere dilagato dopo gli attentati dell’11 settembre 2011, giustificato con il pretesto della “guerra al terrorismo” e la prevenzione di attentati.
Snowden ha mostrato come, attraverso sofisticati programmi come il Prism o l’XKeyscore, le agenzie hanno carpito i dati di chiunque, cittadino o struttura pubblica che fosse. Altri dati li ottenevano dalle grandi compagnie come Google o Microsoft: obbligate a fornirli «per evitare di essere accusati di tradimento», ha detto l’amministrazione delegato di Yahoo, Marissa Mayer. L’imprenditrice ha precisato di non poter spiegare i dettagli delle richieste ricevute per la stessa ragione. La Nsa ha spiato anche ambasciate straniere e uffici Onu, capi di stato e imprese. I servizi segreti britannici si servivano a loro volta del programma Prism. Averlo rivelato è costato al compagno di Gleen Greenwald, il giornalista del Guardian autore degli scoop sul Datagate, una giornata di intimidazioni da parte dei servizi segreti e al quotidiano britannico la distruzione dei dati, imposta dall’intelligence in base alle leggi antiterrorismo.
Il Datagate ha mostrato le implicazioni economiche e geopolitiche dello spionaggio. Gli Usa hanno controllato anche i paesi europei, e lo stesso Israele era a sua volta monitorato. «Così fan tutti», ha peraltro riassunto il presidente Usa Barack Obama, rassicurando i più insistenti con la promessa di future spiegazioni. Il Brasile – che ha fornito protezione a Greenwald – si è fatto però più insistente. In Sudamerica, la Nsa aveva installato illegalmente 16 postazioni di controllo (e anche militari). In questo modo ha tenuto sotto osservazione non solo i governi non graditi come il Venezuela (e il suo petrolio), ma anche lo stesso Brasile. Nel mirino dello spionaggio, la presidente Dilma Rousseff, che ha per ora sospeso il previsto viaggio negli Stati uniti, programmato per ottobre. Sotto osservazione, anche la Petrobras, la principale impresa petrolifera statale: «Se è così, si tratta di spionaggio industriale», ha dichiarato Rousseff, chiedendo spiegazioni agli Usa. Per questo, una delegazione parlamentare brasiliana ha intenzione di recarsi in Russia, dove risiede Snowden, che ha ottenuto asilo politico temporaneo da Mosca.