Il rischio di una seconda ondata epidemica lambisce sempre più da vicino Israele. La fine del lockdown e l’inizio della fase 2 sta incontrando mille problemi, soprattutto per quanto riguarda la riapertura delle scuole. Mentre per tutto il mese di maggio i casi giornalieri si sono contati in poche unità, dall’inizio di giugno si registrano oltre un centinaio di nuovi positivi ogni giorno. Il dato di ieri è stato quello peggiore dall’inizio di maggio, con 133 nuovi casi positivi registrati. È la cifra più alta da un mese a questa parte.

Anche venerdì sono state chiuse nuove scuole e asili. Ora gli istituti riaperti e subito richiusi per Covid-19 sono 92, con 304 casi positivi e 13mila persone in isolamento tra studenti e docenti. Nel paese le scuole erano state riaperte il 3 maggio. Alla fine dell’anno scolastico mancano solo 2 settimane per le scuole superiori e 3 per quelle elementari. Ma la pressione economica alla riapertura ha forzato la mano del governo.

Gli esperti accusano sia il governo che la popolazione. «Nell’idea di molti, la crisi del coronavirus è finita. Persone di ogni provenienza sociale si assembrano quotidianamente in grandi numeri e senza mascherine», ha denunciato l’esperto di sanità pubblica Ran Balicer sul quotidiano Haaretz. «Allo stesso tempo – continua Balicer – il governo deve rafforzare la sua risposta ai focolai di coronavirus e realizzare test a tappeto anche sui contatti asintomatici, soprattutto nelle comunità chiuse. I test in quantità e un tempestivo tracciamento dei contatti sono decisivi».

Le critiche sulla gestione dell’epidemia stanno costringendo il governo a frenare sul progetto di modifica della legge sullo stato di emergenza, che attribuisce maggiori poteri al governo sfruttando la crisi del coronavirus. Il ministro della giustizia Avi Ninssenkorn ha annunciato ieri la riduzione della durata dell’emergenza da 45 a 30 giorni. Inoltre, sarà abrogata la norma che permette alle forze dell’ordine di entrare nelle case dei civili senza un mandato.

Per Israele l’incubo peggiore è di ritrovarsi nella situazione del nemico Iran, l’altro grande malato del Medio Oriente. La repubblica islamica era stata già colpita duramente dal coronavirus nel mese di marzo, quando il numero dei casi giornalieri era arrivato oltre quota tremila (con tutti i dubbi sulla trasparenza delle autorità sanitarie del regime). Le cifre ufficiali poi erano decisamente migliorate e all’inizio di maggio i casi quotidiani erano scesi a un migliaio. Nei giorni scorsi, invece, si sono superati i 3.500 nuovi casi giornalieri.

La speranza delle autorità è che l’aumento sia dovuto a una maggiore numero di tamponi effettuati, che farebbe emergere casi più lievi che in precedenza sarebbero passati inosservati. Mentre il numero dei contagiati ha toccato nuovi record, infatti, quello dei decessi è rimasto ben al di sotto dei picchi (158 vittime in un giorno) della prima ondata. Anche in Iran si punta il dito contro il mancato rispetto delle misure di distanziamento sociale e il riavvio degli spostamenti anche verso le province più colpite dal focolaio di marzo. Tra le province in cui si contano più casi negli ultimi giorni ci sono anche l’Hormozgan e il Khuzestan, che si affacciano sul Golfo Persico. Malgrado temperature già oltre 40 gradi, il virus sembra adattarsi piuttosto bene.