Gaza non ha tempo di fare un bilancio delle disastrose perdite subite, infrastrutture distrutte, reti idriche e fognarie al collasso, ospedali danneggiati. Delle vite umane stroncate. Il tempo ce l’ha Israele: quanto sta costando a Tel Aviv l’offensiva contro la Striscia? Le esperienze passate tranquillizzano i vertici politici israeliani: dopo ogni operazione militare la vendita di armi, efficacemente testate su una prigione a cielo aperto, salgono alle stelle.

Ma c’è chi non nasconde preoccupazione. Ad oggi l’attacco contro Gaza sta costando miliardi di dollari e, come sottolinea Barri Topf, consigliere dell’ex governatore della Banca d’Israele, il timore è che gli investitori stranieri evitino un paese in conflitto.

Il settore più colpito è quello turistico: la Città Vecchia di Gerusalemme – d’estate crocevia di turisti da ogni parte del globo – è vuota, come le spiagge e i bar di Tel Aviv, mentre le compagnie aeree internazionali sospendono i voli da e per l’aeroporto Ben Gurion, una perdita in termini di denaro e immagine difficilmente quantificabile. Il governo corre ai ripari, cercando di tranquillizzare le compagnie aeree e cadendo così in aperta contraddizione: i missili di Hamas, su cui Tel Aviv poggia la propria propaganda, non sono così minacciosi se si tratta di far riprendere l’arrivo di turisti.

E se c’è chi vede nelle sospensioni dei voli lo strumento di Usa e Europa per fare indirette pressioni su Israele, il governo Netanyahu ha apertamente accusato alcune compagnie di essere complici dei terroristi perché si fanno spaventare dai razzi di Hamas.

Le previsioni sono nere. Con voli cancellati e turisti in fuga, il record di presenze dell’anno passato è un ricordo lontano: meno del 30% degli impiegati nel settore turistico è operativo, perdite pari a 500 milioni di dollari (25 milioni al giorno), un calo previsto del 35%. Nel 2013 furono oltre 3,5 milioni i turisti in visita in Israele, per entrate pari a 12 miliardi di dollari, il 6% del Pil del paese.

E mentre il Pil cala, il valore dello shekel (la moneta israeliana) cresce rendendo meno competitive le esportazioni. Lunedì la Banca Centrale israeliana ha tagliato i propri tassi di interesse, portandoli allo 0,5% dai precedenti 0,75%, per coprire in parte le perdite economiche dovute all’offensiva. Difficile stabilire l’impatto dell’impresa bellica contro Gaza, spiega il vice governatore Nadine Baudot-Trajtenberg, ma in passato la perdita per il Pil si è attestata sul mezzo punto percentuale. Accadde per il Libano nel 2006 e per Gaza nel 2008.

Diversa l’opinione di chi è attivo nell’economia reale. Il lancio di missili e le sirene d’emergenza non facilitano gli affari delle compagnie e le industrie a sud del paese, al confine con Gaza. Dentro la Knesset, il parlamento israeliano, e nei media c’è chi paventa perdite di oltre 3 miliardi di dollari. Secondo l’Associazione Industriale israeliana, sono andati in fumo 234 milioni di dollari, in parte per la mancanza di dipendenti, perché rimasti a casa per timore dei missili o perché richiamati come riservisti dall’esercito: «Gli impianti hanno subito un crollo della produzione – spiega il presidente Zvika Oren – I danni aumenteranno se l’operazione continuerà».

Senza contare l’effetto boomerang: il massacro di Gaza impedisce al settore produttivo israeliano di far entrare nella Striscia i propri beni, quelli che affollano i supermercati gazawi. A decidere cosa entra e cosa esce da Gaza è il governo israeliano, che ha trasformato la Striscia in un immenso mercato prigioniero per i propri prodotti. Un milione e 800mila persone che oggi, com’è ovvio, non comprano.

Il timore vero, però, è un altro: se le perdite attuali saranno minimizzate dal volume d’affari dell’industria militare pubblica e privata, la minaccia di una nuova Intifada nei Territori non fa dormire sonni tranquilli ai vertici di Tel Aviv. Se una simile prospettiva dovesse realizzarsi, Israele perderebbe molto di più, in termini economici e di immagine. I turisti fuggirebbero davvero e la campagna di boicottaggio contro lo Stato di Israele – che sta segnando punti fondamentali – troverebbe nuova linfa.

Come spiegano gli attivisti del Bds (Boycott, Disinvestment and Sanctions), l’obiettivo è rendere l’occupazione meno conveniente. Sia per lo Stato che per i cittadini: la nuova offensiva ha permesso all’esercito di recuperare il taglio di bilancio deciso in precedenza, fondi che erano stati tolti ai militari per rimpinguare le magre casse del Welfare israeliano. Ma di nuovo a vincere è il sistema neoliberista israeliano, basato su privatizzazioni del sistema pensionistico, carenza di benefici sociali e fiscali, cancellazione dei diritti dei lavoratori. Chissà se il cittadino medio israeliano stavolta vorrà dire la sua.