Nemici lungo le linee di demarcazione, dove da quasi un anno di ripetono le proteste palestinesi contro il blocco di Gaza, Israele e Hamas collaborano tacitamente nella gestione di un valico.

Accade da domenica scorsa a Kerem Shalom, il punto di ingresso per tutte le merci che da Israele entrano a Gaza. Il ritiro da Kerem Shalom delle guardie di frontiera dell’Autorità Nazionale (Anp), ordinato dal presidente Abu Mazen in un nuovo atto del conflitto con gli islamisti, ha fatto temere la chiusura del valico. Le due parti invece cooperano. Non è la prima volta e non sarà neppure l’ultima, pur di preservare lo status quo. Il governo israeliano peraltro permette l’ingresso a Gaza dei 15 milioni di dollari donati mensilmente dal Qatar, destinati in buona parte al pagamento dei salari degli impiegati dei ministeri di Hamas e degli uomini delle formazioni militari del movimento islamico che pure Israele descrive come «organizzazioni terroristiche».

Diverso è l’atteggiamento nei confronti dell’Anp di Abu Mazen. Un tempo partner di Usa e Israele, poi messa all’indice da Trump e Netanyahu fino ad essere descritta come «nemica» – ma continuando con essa la collaborazione di sicurezza in Cisgiordania – l’Anp di recente è stata colpita prima dal taglio delle donazioni statunitensi ordinate dalla Casa Bianca e ora dalla decisione di Israele di congelare 138 milioni di dollari palestinesi.

La somma corrisponderebbe ai sussidi che Abu Mazen ha versato nel 2018 ai prigionieri politici rinchiusi nelle carceri israeliane. Per Netanyahu e i suoi ministri quel denaro «incoraggerebbe il terrorismo» e ha usato una legge ad hoc approvata dalla Knesset per non versarlo ai palestinesi. Il passo aggrava la crisi finanziaria dell’Anp avvicinandola sempre di più al crollo. Il premier israeliano stringe la corda intorno al collo del presidente palestinese sapendo di guadagnare nuovi consensi interni in vista delle elezioni del 9 luglio. Incurante della contrarietà dei capi dei servizi di sicurezza, lascia capire che in nome della «lotta al terrorismo» potrebbe congelare tutti fondi palestinesi che Israele raccoglie da dazi doganali e altre tasse e che è tenuto a versare all’Anp sulla base delle intese economiche raggiunte con la firma degli accordi di Oslo venticinque anni fa.

«Siamo di fronte a un atto di pirateria inaccettabile», ha protestato il portavoce di Abu Mazen Nabil Abu Rudeina prefigurando «gravi conseguenze» senza precisare per chi. Non per Israele a cui interessa soltanto che l’Anp prosegua la cooperazione di sicurezza. E nessuno crede che Abu Mazen arriverà ad interromperla, visto che il presidente palestinese l’ha minacciato tante volte per poi ingranare sempre la retromarcia. Le conseguenze saranno solo per le casse dell’Anp e per migliaia di famiglie palestinesi. Il bilancio annuale dell’Anp è di circa cinque miliardi di dollari. I sussidi ai prigionieri rappresentano il 3-4% delle entrate fiscali annuali.

A prima vista potrebbe apparire una percentuale modesta ma recuperare quei 138 milioni sarà un’impresa non da poco per chi già da anni è costretto a governare in deficit e fa i conti con difficoltà enormi.