Suspense ieri sera in Israele sulla soglia delle terze elezioni politiche in meno di un anno, dopo quelle del 9 aprile e del 17 settembre che non hanno risolto lo stallo politico che va avanti dalla fine del 2018. In serata, mentre il nostro giornale andava in stampa, Netanyahu stava considerando la rinuncia alla richiesta dell’immunità parlamentare destinata a proteggerlo dall’incriminazione per corruzione, frode e abuso di potere formulata il mese scorso nei suoi confronti dal procuratore generale Avishai Mandelblit. Una mossa volta a spingere Benny Gantz, leader della lista centrista (ma tendente a destra) Blu Bianco, ad avviare colloqui con il suo partito, il Likud (destra), per la formazione di un governo unitario prima della scadenza di mezzanotte fissata per lo scioglimento del Parlamento e la proclamazione delle elezioni.

 

Gantz ha ripetutamente accusato Netanyahu di aver silurato il governo di unità nazionale per garantirsi l’immunità e la possibilità di arrivare da premier in carica al nuovo voto. E il premier prova a testare le intenzioni del suo principale rivale. Un passo inutile. In questi mesi Blu Bianco ha ripetuto che non farà parte di un governo con un primo ministro incriminato e atteso da un processo, seppure non in tempi stretti. Da parte sua il Likud vuole che i rivali centristi accettino di inserire nel programma dell’eventuale nuovo esecutivo l’annessione a Israele proposta da Netanyahu della Valle del Giordano e di buona parte della Cisgiordania. Punti sui quali Blu Bianco non si è ancora espresso con chiarezza. A spingere verso il voto ieri era anche l’avvenuta approvazione in prima lettura della proposta di legge per sciogliere la Knesset e tenere elezioni il 2 marzo 2020. Entro mezzanotte erano attese altre due votazioni.

 

Pochi per ora credono che il nuovo voto riuscirà a sbloccare la paralisi del quadro politico innescata dall’uscita un anno fa, dalla coalizione guidata da Netanyahu, del partito Yisrael Beitenu (destra estrema laica) dell’ex ministro della difesa Lieberman, divenuto l’ago della bilancia per la formazione di qualsiasi maggioranza di governo. Però è intervenuta una variabile rispetto al 9 aprile e al 17 settembre: l’incriminazione di Netanyahu. E sembra aver già spostato gli equilibri. Un sondaggio diffuso dalla tv Canale 13 dice che, in caso di nuove votazioni, il centrosinistra riuscirebbe a conquistare 60 dei 120 seggi alla Knesset. Quindi Benny Gantz sarebbe in grado di formare un governo di minoranza, col sostegno esterno della Lista araba unita. Ipotesi che il leader di Blu Bianco, un ex capo di stato maggiore, vorrebbe evitare (perché i partiti che rappresentano i palestinesi cittadini di Israele non sono sionisti) ed andare invece a un’alleanza con il Likud senza Netanyahu. Lo stesso sondaggio rivela che il 41% degli israeliani imputa al premier uscente la responsabilità dell’attuale crisi politica. Netanyahu resta popolare ma agli occhi di un numero crescente di israeliani appare troppo interessato a rimanere al potere e a  sottrarsi alla giustizia. Se alla guida del Likud fosse sostituito dal suo rivale Gideon Saar, il partito prenderebbe meno seggi ma il blocco delle destre risulterebbe più consistente – con il rientro nella coalizione di Yisrael Beitenu – e in grado di arrivare alla maggioranza.

 

Per questo, dopo l’incriminazione, su Netanyahu sono aumentate le pressioni dell’opposizione che chiede le sue dimissioni (non previste dalla legge) e quelle, forse più insidiose, all’interno del Likud. Contro la sua volontà, il primo ministro, indebolito dai guai giudiziari, ha accettato che, si dovessero tenere nuove elezioni, Likud farà le primarie il 26 dicembre. Una concessione che lascia a Gideon Saar, unico sfidante credibile alla leadership del partito, solo due settimane per preparare il voto. Netanyahu, che da 14 anni tiene le mani strette sul Likud, è in grado di battere agevolmente Saar. Ma il voto comunque fa del suo rivale il numero due del partito, perciò destinato a prendere il suo posto se fosse costretto ad uscire dalla scena politica a causa del processo che lo attende, anche se non in tempi stretti.