Non ha tardato ad emergere la verità sulla strage della famiglia Sawarkah spazzata via da quattro missili sganciati da un caccia israeliano nella notte tra mercoledì e giovedì su Deir al Balah, nella zona centrale di Gaza. Il 45enne Rasmi (Abu Malhous) Sawarkah, ucciso assieme ad altri sette famigliari (tra cui due donne e due bambini di tre e quattro anni), descritto dalle forze armate israeliane come un comandante delle rampe di lancio di razzi del Jihad islami, in realtà era un semplice cittadino palestinese. L’“ufficiale” del Jihad era suo fratello, dicono a Gaza, ma non era in casa in quel momento e l’organizzazione islamista lo descrive come un affiliato e non un comandante. Adesso, scrive il quotidiano Haaretz, le forze armate israeliane indagano sull’accaduto e fanno sapere che non erano a conoscenza della presenza di persone nella casa. Non possono rallegrarsene gli otto uccisi. Ed i sopravvissuti quasi certamente non riceveranno un risarcimento. Le inchieste aperte dall’esercito israeliano sui civili palestinesi uccisi nelle tre offensive contro Gaza del 2008, 2012 e 2014, sono terminate con la formula che i militari avevano agito nel rispetto delle regole di ingaggio. I palestinesi dovranno accontentarsi di un pardon, è stato un errore. Intanto è salito a 35 il numero dei palestinesi morti nell’operazione israeliana. Uno dei feriti, Ahmed Ayman Abdel Al, è deceduto ieri. Non era un civile, bensì un membro delle Brigate al Qassam, l’ala militare di Hamas. Oltre a morti e feriti si calcolano anche i danni. Secondo una prima stima fatta a Gaza ammonterebbero a tre milioni di dollari. Circa 500 abitazioni sono state danneggiate. Otto case sono state distrutte completamente. Le infrastrutture civili (fognature, elettricità, rete idrica e strade) hanno subito danni per circa 600mila dollari.