Non è la prima tragedia durante le celebrazioni di Lag B’Omer sul monte Meron, in Alta Galilea. Il 15 maggio 1911, quando Israele non esisteva e la Palestina era parte dell’impero ottomano, si ruppe una ringhiera dell’edificio dove si trova la tomba del rabbino Shimon Bar Yochai, il Rashbi, e un centinaio di pellegrini precipitò da un’altezza di oltre sette metri. Vi furono 11 morti e 40 feriti. Ben più drammatici, più di cent’anni dopo, sono i numeri di giovedì notte: 45 morti, tra i quali almeno sei minori, e oltre 150 feriti. Una catastrofe che colpisce la comunità religiosa haredi (ultraortodossa) che ogni anno converge a decine di migliaia sul monte per onorare il rabbino Bar Yochai, l’autore dello Zohar, principale opera del misticismo ebraico. Il giorno della sua morte, il Rashbi rivelò ai suoi discepoli i segreti della Kabbalah è ciò spiega perché Lag B’Omer – il 33esimo giorno dell’Omer, il periodo tra la Pasqua ebraica e le Shuvuot – sia diventato un giorno di festa in cui, tra le altre cose, si accendono i falò che per i religiosi simboleggiano la luce della saggezza.

Cosa sia accaduto nessuno può ancora dirlo con certezza. Le autorità hanno aperto un’inchiesta e la polizia è sotto accusa. Secondo la prima ricostruzione ad innescare il panico è stato il crollo di una gradinata. Poi è emerso che quando la folla, dopo la caduta di alcuni pellegrini, ha cercato di scappare, ha trovato l’uscita chiusa. La calca si è trasformata in un killer che non ha dato scampo a 45 persone. «Eravamo all’ingresso, volevamo uscire ma abbiamo trovato chiuso il cancello. Siamo caduti l’uno addosso all’altro», ha raccontato un testimone. «All’improvviso si è levata come un’onda. Le persone sono state lanciate in aria, altre sono state schiacciate a terra» ha riferito un altro scampato alla morte. Simili altre testimonianze, quasi tutte puntano il dito contro la polizia.

Al di là delle responsabilità individuali, quella dell’altra notte è stata una strage annunciata. I media israeliani scrivevano ieri che più voci avevano messo in guardia, già qualche anno fa, sulla pericolosità del sito religioso che, secondo le norme di sicurezza generali, non avrebbe dovuto contenere più di 15mila persone. E invece l’affluenza due giorni fa è stata di 100 mila pellegrini, anche per la revoca di gran parte delle restrizioni anti-Covid seguita alla campagna vaccinale che ha ridotto al minimo il numero dei contagi nel paese. Governo e polizia hanno fatto ben poco in questa circostanza per limitare l’ampia autonomia dei religiosi ortodossi che sfruttano il peso dei loro partiti nella politica nazionale.

Da parte sua Benyamin Netanyahu difende la polizia. Secondo il premier, che ha proclamato il lutto nazionale da domani, «C’è stata una rapida operazione di salvataggio compiuta dalla polizia, delle forze di soccorso e di sicurezza e gli siamo grati perché hanno impedito un disastro molto più grande». Netanyahu assicura che sarà condotta «un’indagine seria e approfondita per garantire che non si ripeta un tale disastro, enorme e doloroso, uno dei peggiori del nostro paese». Anche lui però è sotto accusa. Durante il sopralluogo che ha svolto al Monte Meron i presenti gli hanno lanciato accuse pesanti e preso di mira con bottigliette di acqua gli agenti che lo scortavano.

Il disastro rischia di avere ripercussioni politiche e di complicare ulteriormente il tentativo di Netanyahu di formare il nuovo governo. I 28 giorni di tempo fissati dalla legge per l’incarico che gli ha affidato il capo dello stato scadranno all’inizio della settimana prossima, senza che nulla lascia intravedere una svolta. Netanyahu, al potere ininterrottamente dal 2009, resta il nodo irrisolto della politica israeliana. Il primo ministro è una figura divisiva, anche nella destra, e complica le cose la sua ostinazione a voler rimanere a capo del governo malgrado sia imputato di corruzione. Il suo plateale tentativo qualche giorno fa di imporre un suo alleato come ministro della giustizia, violando gli accordi presi con i partner del governo uscente, ha indebolito la sua posizione. E la strage al Monte Meron potrebbe spingere alcuni suoi potenziali alleati ad abbandonarlo.