L’Ispra è occupato ormai da venti giorni: i ricercatori dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale chiedono la conferma di tutti i lavoratori precari (circa un centinaio) e migliori condizioni – lo sblocco dei fondi e agibilità burocratica – per le attività di ricerca. «La situazione è incredibile – spiega Michela Mannozzi, delegata Usb – nei laboratori mancano i reagenti, molti sono bloccati: è impossibile lavorare se le risorse vengono continuamente tagliate».

I lavoratori dell’Ispra hanno manifestato il 5 giugno scorso in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente: a Roma, davanti al Pantheon, hanno inscenato il flash mob «Non sparate alla ricerca, la ricerca solleva lo Stato». Un settore a rischio, come a rischio sono i precari dell’istituto: la miccia è esplosa quando il direttore generale ha annunciato che i contratti non sarebbero stati prorogati (una cinquantina scade già questo mese).

«Eppure – spiega la delegata Usb – nel Testo unico della pubblica amministrazione varato dalla ministra Madia, all’articolo 20, si dice che tutte le figure sono prorogabili: tranne quelle che hanno meno di tre anni di anzianità, ma per loro si lascia spazio all’interno di eventuali nuovi progetti. Perché allora l’Ispra è sordo a tutte le nostre richieste?».

I dipendenti Ispra sono circa 1200 – inclusi i 90-100 precari – ma la pianta organica prevede 1400 dipendenti. Se vivessimo in un Paese ideale, dove la ricerca viene finanziata adeguatamente, ci sarebbero dunque addirittura 200 postazioni scoperte. Ma intanto, senza pretendere troppo, si chiede perlomeno di confermare tutti i precari: contratti a termine soprattutto, una decina di cococò e qualche assegnista, in istituto mediamente da 10-12 anni (con punte di 17).

L’Ispra è nato nel 2008 dalla fusione di Icram, Infs e Apat (rispettivamente ricerca sul mare, fauna selvatica e agenzia dell’ambiente) e secondo la legge 132 del 2016 dovrebbe lavorare in rete con le Arpa, le agenzie regionali per l’ambiente. Dovrebbe, perché al momento tutto è bloccato principalmente per la scarsità di fondi: la nuova Rete – dice la legge – dovrebbe lavorare senza aggravi per il bilancio dello Stato, e tutti si chiedono quindi come.

Tra gli obiettivi della Rete Ispra-Arpa c’è ad esempio l’elaborazione e fissazione dei Lepta, i Livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali. Un po’ come i Lea nella Sanità, individuano gli standard minimi che dovranno essere assicurati in tutto il territorio nazionale. Anche questi, per il momento, restano sulla carta.

A rischio, per l’Ispra, anche l’aggiudicazione futura dei fondi europei: perché nel frattempo sono cambiate le regole relative agli anticipi del 20% che i singoli istituti sono costretti ad assicurare. Con le risorse che arrivano a singhiozzo dal ministero dell’Economia – poche e con le tranche spesso in ritardo, denuncia l’Usb – garantire gli anticipi è diventata una chimera.

L’Usb ha anche avanzato richiesta alla Commissione Ue per l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia, per abuso nell’utilizzo di contratti flessibili all’Ispra e in altri istituti: è chiamato a rispondere il ministero della Pubblica amministrazione, e Bruxelles sta già procedendo.

Alcuni precari hanno fatto causa presso il giudice del lavoro: più che per ottenere risarcimenti o assunzioni (è comunque necessario passare per un concorso pubblico), si spera di poter aprire una trattativa con l’Ispra almeno per prorogare tutti fino ai prossimi concorsi.

Gli occupanti chiedono infine che si apra un tavolo presso il ministero dell’Ambiente per «definire un piano di riorganizzazione e di rilancio dell’Ispra» e «sbloccare i finanziamenti certi, anche tramite azione nei confronti del ministero dell’Economia per il recupero dei tagli da spending review».