«È l’esatto contrario del calcio delle rock star. È genuino, vero, per tanti versi rappresenta un ritorno agli aspetti più sani e positivi del passato, quando non comandava solo il dio denaro. Tanti goal, poche moine e un impegno sempre massimo. Chi se ne importa se la tecnica non è sempre ineccepibile». Il perfetto antidoto per le aberrazioni del calcio moderno si trova in un’isola grande un terzo dell’Italia ma con una popolazione di poco più di 300mila abitanti, come un quartiere di Roma. Un’isola famosa per i vulcani, i geyser e i panorami da urlo, che negli ultimi anni ha fatto notizia per le malefatte (e il fallimento) delle sue banche e un primo ministro maneggione smascherato dai Panama Papers. Ma anche per il football, visto che la nazionale si è clamorosamente qualificata per Euro 2016 contro tutti i pronostici. Signore e signori, benvenuti in Islanda, luogo dei sogni di tre italiani che proprio sul campionato che si gioca in quei luoghi magici gestiscono con grande passione un blog – che per la verità si occupa anche delle Far Oer.

Il fondatore è uno studente di Napoli, Francesco Cositore, che nel 2014 mette in piedi la baracca in cui entrano nel tempo il brindisino Mattia Giodice e il genovese Fabio Quartino, che ci ha raccontato un po’ di cose su calcioislandese.blogspot.it/. Lui è l’unico che finora è riuscito a visitare quest’isola alla fine del mondo, ammirando le sue bellezze naturalistiche ma anche i campetti incastonati in alcuni dei luoghi più improbabili e romantici del pianeta.
«Ormai il blog è un punto di riferimento per i fanatici di football islandese, non solo in Italia» ci spiega Quartino. «Mettiamo in media una ventina di pezzi al mese, spesso caricando video e interviste che facciamo via email o tramite collegamenti Skype, ma anche contaminando i racconti calcistici con post sulla storia e la cultura del Paese. E così abbiamo almeno mille visite a settimana, di gente che fa le ore piccole (l’Islanda è due ore indietro rispetto all’Italia, ndr) per vedere un match di coppa tra squadre di seconda e terza divisione oppure muove mari e monti per mettere le mani su una maglietta originale dell’IBV!».

L’interesse per il football islandese è favorito anche da una congiuntura molto favorevole. È da un po’ che la nazionale non era più la squadra materasso dei decenni passati, tanto che nel 2014 ha sfiorato l’approdo ai mondiali brasiliani perdendo lo spareggio contro la Croazia. Per Euro 2016 era stata sorteggiata in un girone di ferro con Olanda, Turchia e Repubblica Ceca che in teoria si sarebbero dovute contendere i due posti in palio per la kermesse francese. Invece l’Islanda ha stupito tutti, battendo in casa e in trasferta gli orange, qualificandosi senza troppi patemi d’animo. Ora sarà capace di imitare il Leicester? «È difficilissimo, però una speranza di passare il turno, visto che passano anche le migliori terze, c’è. Poi, chissà, con un pizzico di fortuna si potrebbe arrivare ai quarti…» spera Fabio. Certo, il girone non è proprio impossibile. C’è sì il Portogallo guidato da Cristiano Ronaldo, ma l’Austria e l’Ungheria non sono più le super-potenze pallonare che erano a cavallo della Seconda Guerra mondiale. Ma come è possibile che una delle cenerentole del football europeo possa aver fatto così tanta strada? Grazie a una grande programmazione e una cultura sportiva che ha pochi eguali nel Vecchio Continente, ci spiegano gli amici del blog.

Sono due elementi imprescindibili in un calcio semi-dilettantistico, dove i soldi che girano sono pochi, la maggior parte delle squadre è concentrata nella capitale Reykjavik (ma ora in testa c’è una formazione di un villaggio di sole mille anime…) e tutti i team sono diramazioni di polisportive. E, ma non lo dite troppo forte a Tavecchio e i suoi sodali della federazione italiana, le compagini femminili hanno gli stessi budget al centesimo di quelli maschili…
In realtà i migliori talenti, come il genietto dello Swansea Gylfi Sigurðsson e l’attaccante del Nantes Kolbeinn Sigþórsson, nel campionato patrio giocano poco o nulla. I talent scout che ben conoscono la bontà del movimento islandese e delle sue giovanili li segnalano molto presto alle squadre professionistiche europee. Ma c’è anche chi fa il percorso inverso. Sull’isola i calciatori stranieri arrivano spesso dall’estrema periferia del football mondiale, come El Salvador o Trinidad. Come prima cosa si devono adattare a un approccio tattico che bada al sodo, a un 4-4-2 di stampo nordico, con difesa rocciosa e corsa e palle in verticale come se non ci fosse un domani. Le stesse armi che impiegherà l’Islanda per diventare la sorpresa di Euro 2016.