Che la Turchia agisca come «piattaforma per jihadisti» non è una gran novità. Dal suo permeabile confine passano migliaia di miliziani islamisti che vanno ad arricchire le già folte schiere dell’Isis e dell’ex al Nusra.

Ma nei documenti del governo tedesco finiti alla stampa c’è di più. Secondo Berlino, Ankara è un hub per terroristi perché sostiene Hamas, governo de facto di Gaza (nonché vincitore delle ultime elezioni democratiche nei Territori Palestinesi Occupati, nel 2006), e i Fratelli Musulmani in Egitto.

Ecco che rispunta l’annosa questione che l’Occidente non intende affrontare né capire: la differenza ideologica e di azione tra Islam politico e jihadismo. Etichettare la Fratellanza Musulmana, nata in Egitto nel 1928 e da allora diffusasi nel mondo arabo, come gruppo terrorista è un errore grave con conseguenze altrettanto distruttive.

La coperta (cortissima) del modello di export della democrazia non ci pensa neppure ad inserire tra le proprie categorie concettuali l’Islam politico perseguito dai Fratelli Musulmani, pur avendo i paesi occidentali i propri partiti democristiani.

La re-islamizzazione vissuta dal mondo arabo nel secolo scorso è stata frutto di un insieme di processi: decolonizzazione, nascita degli Stati nazione, ricerca di un’alternativa ai regimi nazionalisti laici e socialisti.

La Fratellanza Musulmana nasce da lì: l’Islam come strumento di trasformazione (pacifica) della società e di conseguente partecipazione politica. L’islamismo moderato ha visto e vede nel processo democratico e nel rapporto con sindacati e movimenti sociali il mezzo di trasformazione della società. E quindi nell’ingresso nel processo istituzionale il grimaldello per modificare il sistema dall’interno, senza il ricorso a violenza o lotta armata.

Esattamente l’opposto del jihad militare profetizzato da Isis e al Qaeda. Porre sullo stesso piano tali organizzazioni e i Fratelli Musulmani incrementa il potere di attrazione dei primi a scapito dei secondi, da decenni vittima di repressione di Stato spesso sostenuta – dietro le quinte – proprio da gruppi salafiti e jihadisti. Che hanno l’occhio più lungo del nostro: demonizzare e isolare gli islamisti moderati garantisce all’estremismo un bacino di consenso sempre più ampio e radicato.