Ha 28 anni, si chiama Abdel Rahman Shams e vive a Kafr Sheikh, governatorato nel Delta del Nilo. Queste sono le informazioni filtrate nelle ultime ore sull’identità dell’attentatore che venerdì ha ucciso con un coltello due turiste tedesche e ferito quattro donne (due ucraine e due armene) nel resort Sunny Day el Palacio sul Mar Rosso, ad Hurghada.

Il procuratore generale egiziano ha riferito all’agenzia di Stato Mena di non conoscere ancora il movente, se si sia trattato di «atto individuale, criminale o terroristico».

Subito le autorità egiziane hanno innalzato il livello dei controlli al porto di Hurghada, già teatro un anno e mezzo fa di un attacco simile (due uomini ferirono alcuni turisti in un resort).

La polizia sta pattugliando le strade e l’esercito è stato dispiegato fuori dagli hotel dell’area vacanziera: una zona frequentata dagli egiziani solo per lavorare e appannaggio del turismo europeo più o meno di lusso, divenuto per molte famiglie primaria fonte di sussistenza e dal 2011 in crisi a causa degli eventi che hanno cambiato la storia recente dell’Egitto, dalla rivoluzione agli attacchi terroristici.

Secondo informazioni raccolte tra gli investigatori dal quotidiano Shorouk, Shams ha detto di aver ucciso «per attuare la legge divina». Una persona introversa, lo definiscono dei vicini di casa a Hurghada dove era andato a lavorare dopo essersi laureato in economia e commercio alla Al Azhar University del Cairo.

L’uomo era arrivato sulla spiaggia privata dell’albergo – considerato meta low cost per il turismo straniero, per lo più dall’Europa dell’est – a nuoto, venerdì pomeriggio.

Secondo fonti locali, poco prima di aggredire le sei turiste straniere avrebbe parlato al telefono con qualcuno. L’agenzia Dpa ha parlato di affiliazione allo Stato Islamico, altre fonti di simpatie jihadiste, mentre il quotidiano tedesco Bild – citando fonti dei servizi segreti egiziane – ha riportato che l’uomo avrebbe seguito istruzioni di membri dell’Isis.

Ma al momento nessuna rivendicazione è arrivata, neppure dall’Isis, solitamente molto rapido nell’accaparrarsi azioni individuali. Le autorità egiziane mantengono un identico riserbo.

E allora ci si affida alle poche notizie che trapelano: Abdel Rahman Shams arrivava da una delle zone rurali più povere d’Egitto. Kafr Sheikh, nord del paese, conta 3,2 milioni di abitanti, di cui quasi l’80% vive fuori dalle città.

Scarsa urbanizzazione e tre zone industriali: si sopravvive con la produzione di riso e l’allevamento di pesci in un’area colpita ogni estate da anni dalla cronica mancanza d’acqua (dovuta a corruzione, scarsi investimenti e quasi nessuna manutenzione della rete idrica) sia per il lavoro agricolo che per l’uso quotidiano e pubblico.

Proprio la mancanza d’acqua ha spinto Il Cairo ad imporre, a dicembre, la riduzione dello spazio a favore delle risaie del 32,7%, introducendo pene per chiunque esca dai limiti consentiti in zone tradizionalmente specializzate come Kafr Sheikh, Damietta, Port Said e Shariqiya.

Così, tra siccità, assenza di investimenti per migliorare la distribuzione dell’acqua e tagli ai sussidi, il prezzo del riso è cresciuto di oltre il 20%, colpendo sia venditori che consumatori. E costringendo tanti a cercare lavoro altrove.

Ieri intanto un altro accoltellamento da parte di un giovane egiziano ha avuto luogo nella chiesa copta di Alessandria: l’aggressore, di nome Adel, laureato in legge, ha colpito una guardia che lo aveva fermato temendo volesse compiere un attentato. Sempre ieri quattro miliziani sono stati uccisi a Ismailia dalla polizia. Provenivano dal Sinai, sfuggito quasi del tutto al controllo dello Stato: a dettare legge sono gruppi jihadisti di diversa affiliazione.