In Libia la comunità internazionale ha fallito e nel vuoto totale sta lasciando mano libera al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha trovato un accordo per una risoluzione che desse legittimità all’attacco egiziano contro la Libia, ma ha solo puntato sulla prosecuzione del mefitico e impossibile negoziato tra fazioni con la mediazione delle Nazioni Unite e il suo inviato, lo spagnolo Bernardino Léon.

Egitto e Giordania hanno forzato la mano puntando invece su una risoluzione che prevedesse l’uso della forza e la fine dell’embargo sulla vendita di armi alla fazione dei militari pro-Haftar, vicini al parlamento di Tobruk.

Pur incontrando il favore di Russia e Francia, l’intervento egiziano è stato accolto con freddezza dagli Stati uniti. Negli ultimi giorni il Dipartimento di Stato si è limitato a condannare il grave atto terroristico contro i copti in Libia e a mostrare «rispetto» per la reazione egiziana. Di sicuro l’uso di F-16 per bombardare Derna da parte dell’aviazione del Cairo non è piaciuta a Washington.

Impegnate in una difficile mediazione in queste ore sono proprio le autorità italiane. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, bruciato sul tempo dagli attacchi egiziani, nelle sue espresse intenzioni di formare una forza di peace-keeping, ha ripiegato per un più cauto rilancio del dialogo con il Cairo. Per questo, il premier Matteo Renzi avrebbe inviato una missiva ad Abdel Fattah al-Sisi, consegnata al Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Marco Minniti, in visita al Cairo. Il Partito democratico starebbe lavorando per affiancare al mediatore delle Nazioni Unite un italiano. Potrebbe trattarsi dell’ex premier Romano Prodi, anche se la notizia è stata smentita nei giorni scorsi. Su iniziativa Ue, si è svolta poi ieri una riunione sulla Libia a Washington con l’Alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, il segretario di Stato John Kerry, il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry. L’attacco di al-Sisi, in risposta al brutale sgozzamento di 21 copti sulle spiagge di Sirte, ha poi esacerbato lo scontro tra Egitto e Qatar.

Doha ha protestato contro gli attacchi egiziani in Libia e richiamato il suo ambasciatore al Cairo dopo le accuse di sostegno al terrorismo, mosse dal delegato egiziano in seno alla Lega araba, Tarek Adl (anche il Consiglio di cooperazione del Golfo – Gcc – ha espresso la sua solidarietà alle autorità qatarine). E così tornano le scintille tra Doha e il Cairo come nelle ore successive al colpo di stato militare che depose l’ex presidente Mohammed Morsi il 3 luglio 2013. In un attimo sono stati cancellati mesi di trattativa tra i due paesi, culminati nella chiusura del canale satellitare pro-Morsi, al-Jazeera Mubasher e l’espulsione di alcuni esponenti dei Fratelli musulmani che avevano trovato asilo in Qatar.

Come in ogni guerra che si rispetti tutti usano le armi a disposizione, anche mediatiche. E così in queste ore, in Egitto si fa politica sulla crisi libica. Non bisogna mai dimenticare che l’azione di al-Sisi contro Sirte e la Tripolitania, al fianco del generale Haftar, ha avuto luogo a poche settimane dall’avvio delle procedure di voto per le elezioni parlamentari in Egitto, previste tra marzo e maggio, che potrebbero segnare un ritorno in politica degli uomini, vicini all’ex presidente Hosni Mubarak, in seguito alla scarcerazione dei suoi figli Alaa e Gamal.

Anche su questo si misura lo scontro tra élite militare e politici del Partito nazionale democratico (Pnd) che ieri avevano rivelato la notizia di un blitz di terra a Derna dalle colonne del quotidiano al-Watan. Lo stesso giornale punta oggi sulle rappresaglie nei confronti delle centinaia di migliaia di egiziani che in queste ore vengono lentamente evacuati attraverso il valico di Salloum.

Dieci di loro sarebbero stati rapiti a Tripoli. Il governo filo-islamista di Omar al-Hassi aveva avvertito del pericolo che corrono i cittadini egiziani in Tripolitania dopo l’aggressione di al-Sisi. I media filo-militari in Libia hanno invece puntato sull’avanzata dello Stato islamico (Isis) nel paese, come ha confermato in un’intervista il premier di Tobruk, ed ex ministro della Difesa, Abdullah al-Thinni.
Il conflitto in Libia ha sfidato ogni previsione. Non si può dire se sia tribale, religioso, criminale: è una combinazione di tutto questo.