Nessuno sottovaluta la gravità dell’attentato in Francia allo stabilimento vicino Lione e il macabro ritrovamento di una testa mozzata coperta di scritte in arabo. Ma governi e media europei continuano a dare scarso rilievo ad attacchi armati, attentati e stragi dell’Isis e di gruppi simili, come il siriano Fronte al Nusra, negli Stati arabi e islamici. Più di tutto evitano di chiedere spiegazioni alla Turchia di Erdogan e ai Paesi del Golfo, che, attraverso la pia generosità di non pochi dei loro cittadini, finanziano e armano la mano dell’Isis e degli altri gruppi che combattono e uccidono per il dominio delle correnti sunnite più radicali – salafismo e wahabismo in testa – in Medio Oriente e Africa del Nord. E incredibilmente qualcuno, anche in Italia, continua ad affermare che l’Isis è “funzionale” ai disegni del “dittatore Bashar al Assad”, come se il destino politico e personale del presidente siriano sotto la pressione proprio dello Stato Islamico e di al Nusra non fosse ormai segnato. Nelle ultime 48 ore e in particolare ieri – un 26 giugno, secondo venerdì di Ramadan, che non sarà dimenticato – l’Isis e i gruppi affiliati hanno lanciato attacchi a ripetizione nel mondo arabo e islamico. Dalla Tunisia al Kuwait, dalla Somalia a Kobane nel Rojava. E sempre ieri un kamikaze dell’Isis ha ucciso venti soldati dell’esercito governativo nel nord della Siria. Un bagno di sangue che i governanti arabi “moderati” hanno condannato con le solite frasi rituali. Parole già ascoltate più volte ma sufficienti ad accontentare gli alleati statunitensi ed europei, convinti che il problema del Medio Oriente non sia chi sponsorizza da anni la diffusione ovunque del radicalismo sunnita ma l’influenza dell’Iran “sciita” e del suo programma atomico. Qualcuno si è domandato perchè i bombardamenti aerei in Yemen ordinati dal “moderato” re saudita Salman prendono di mira solo gli sciiti Houthi e non anche le basi di al Qaeda?

Appena qualche giorno fa a Firenze il direttore del Bardo, Moncef Ben Moussa, aveva riferito con soddisfazione della ripresa della Tunisia dall’attentato dello scorso 18 marzo contro il museo (nel quale persero la vita 24 persone, tra cui quattro italiani). «Ci stiamo riprendendo da una ferita che è ancora dolorosa…Non c’è più paura, piuttosto c’è la volontà di mandare (ai terroristi) il messaggio che non potranno mai abbattere la cultura», aveva spiegato Ben Moussa. Poche ore dopo in Tunisia è riapparso lo spettro del Bardo. L’Isis ha prima rivendicato la nuova strage a Tunisi, dove l’altro giorno un militare ha aperto il fuoco contro i commilitoni, uccidendone sette. Poi ieri è avvenuto il massacro a Sousse di 37 persone, in gran parte turisti provenienti da Gran Bretagna, Germania e Belgio (la Farnesina ieri sera stava accertando la presenza di italiani tra le vittime). Un commando armato formato da due uomini, arrivati dal mare con un gommone, ha seminato il terrore tra gli ospiti di due hotel. Il resort più colpito è il Riu Imperial Marhaba di Port El Kantaoui. I jihadisti hanno aperto il fuoco con mitra kalashnikov, mentre i turisti fuggivano in preda al panico. Alcuni sono riusciti a barricarsi in albergo, altri sono caduti sotto i colpi degli assalitori, uno dei quali, uno studente di Kairuan, è stato ucciso dalle forze di sicurezza. Assurdo ipotizzare un gesto “isolato”. I servizi tunisini sanno bene che lo Stato islamico riscuote un sempre maggior seguito nel Paese dove prosegue intenso il reclutamento di giovani mandati ad uccidere e ad essere massacrati in Siria e Iraq, nei ranghi dell’Isis e di al Nusra. Dal mese di aprile 2011 a maggio 2015 in Tunisia sono stati compiuti attentati che hanno causato 82 morti tra i jihadisti e 114 tra uomini delle forze di polizia e militari. Chi paga e arma organizzazioni come Ansar Al Sharia, Katibet Oqba Ibn Nafaa e Jund Al Khilafa, che dichiarano la propria fedeltà all’Isis?

Nelle stesse ore in cui 37 persone cadevano sotto le raffiche sparate sulla spiaggia di Sousse, almeno 25 fedeli sciiti in preghiera venivano fatti a pezzi da un kamikaze nella moschea di al-Imam al-Sadeq, a Kuwait City. Un uomo, identificato come Abu Suleiman al-Muwahhid, si è fatto saltare in aria urlando “Allah è grande”. Oltre 200 i feriti. In un comunicato di rivendicazione diffuso da “Provincia di Najd”, la branca saudita dell’Isis, si spiega che l’attentatore ha colpito quella moschea perchè «diffondeva gli insegnamenti sciiti tra la popolazione sunnita». La “Provincia di Najd” ha già rivendicato nel maggio scorso altri due attacchi contro la minoranza sciita e la sua capacità di colpire indica che riceve coperture e sostegni in Arabia saudita e Kuwait, Paesi in prima linea nella lotta «all’espansionismo sciita promosso dall’Iran». Poco dopo almeno 50 soldati della missione africana in Somalia (Amisom) sono rimasti uccisi in un attacco messo a segno dai jihadisti al Shabaab contro la loro base nel villaggio di Lego. L’attacco è iniziato con un attentato kamikaze, seguito dall’assalto con decine di combattenti armati di mitragliatrici e lanciagranate. I soldati colti di sorpresa sono riusciti a reagire solo dopo molti minuti e hanno ucciso una dozzina di assalitori.