Si è appena conclusa una grande mostra dedicata a Isao Takahata che è rimasta aperta al National Museum of Modern Art di Tokyo per circa tre mesi. L’evento ha celebrato la carriera come regista di animazioni di Takahata, scomparso lo scorso anno, fin dai suoi inizi negli anni sessanta fino alla sua ultimissima opera, Kaguya-hime no monogatari (La principessa splendente) del 2013. Proprio quest’ultimo lavoro è quello che apre e chiude la mostra, scelta molto condivisibile perché non solo è l’opera ancora negli occhi di molti spettatori ed appassionati, ma è anche un lungometraggio che rappresenta molte delle innovazioni e del tocco, benché Takahata non fosse un disegnatore, che hanno caratterizzato il regista giapponese lungo cinquant’anni di carriera. Le musiche ed alcune immagini de La principessa splendente aprono la mostra dunque, e si è subito avvolti in un senso di dolce malinconia, uno stato quasi sognante che ben predispone all’inizio della mostra vera e propria. C’è da dire fin da subito che la cura dello spazio, dei pannelli scelti, poster, schizzi preparatori, quaderni scritti da Takahata ed e-konte (gli storyboard) sono di primo livello. Non solo si ripercorrono tutte le tappe della lunga carriera del giapponese, inevitabilmente legata all’amicizia-collaborazione con Hayao Miyazaki, ma si scoprono anche alcune curiosità e soprattutto è un’occasione per gioire dell’immensa bravura non solo di Takahata, ma anche di tutti gli animatori, coloristi e via dicendo che tanto hanno contribuito alle sue opere.

Come spesso accade in questo tipo di mostre dedicate all’animazione, ciò che banalmente colpisce, è la bellezza dei disegni, degli schizzi colorati o in bianco e nero, e dei cel. Visti dal vivo e isolati dal movimento con cui si trasformano in animazione, sono delle vere e proprie opere d’arte. Quelle relative a La grande avventura del piccolo principe Valiant, il debutto come regista di Takahata nel 1968, sono davvero rimarchevoli, anche al di là del valore rivoluzionario del lungometraggio, che aprì nuove strade per l’animazione nipponica. Dopo alcune stanze dedicate al Lupin III, la serie che Takahata e Miyazaki riuscirono a risollevare, aggiungendo alcune tonalità comiche rispetto alle prime puntate che risultarono un fallimento, si passa a due altre serie televisive di estremo successo.

LA SVIZZERA
Heidi, dove per rendere la natura delle Alpi protagonista delle storie, ai due giapponesi fu concesso di visitare la Svizzera per una decina di giorni. Le belle fotografie di questo loro «viaggio» con i giovani Takahata e Miyazaki sorridenti in piccole viuzze di montagna o in un prato montano, sono davvero un tuffo al cuore. L’altra serie a cui è dedicato molto spazio nella mostra è Anna dai capelli rossi, per cui Takahata si occupa della regia, e che molto resta fedele al volume da cui si ispira della scrittrice Lucy Maud Montgomery. Un’interessante curiosità è stato vedere alcuni e-konte disegnati proprio da Takahata, una rarità, semplici ma funzionali al progetto, per la serie televisiva Peline del 1978.

IL GIAPPONE
Uno degli spostamenti di prospettiva ed estetici più interessanti, è quello che avviene agli inizi degli anni ottanta, quando Takahata decide di dedicarsi verso storie che si svolgono in Giappone, piuttosto che all’estero. In questo senso, questa scelta si inserisce perfettamente in una tendenza giapponese, già iniziata verso la seconda metà degli anni settanta, che ha visto molti artisti rivolgersi ed esplorare l’arcipelago e la sua storia. Jarinko Chie è un lungometraggio prima ed una serie per la tv poi che descrive le vicende di una famiglia divisa in una downtown Osaka che ha molto il sapore del periodo Showa. Continua su questa strada anche il lavoro successivo, benché molto diverso, Goshu il violoncellista del 1982 è infatti un adattamento per il grande schermo di un racconto di Kenji Miyazawa, uno dei poeti ed artisti giapponesi più influenti degli ultimi cento anni. Ma l’impatto più forte arriva dalla grande stanza dedicata a Una tomba per le lucciole, racconto di stampo realista, ma con toni espressionisti, delle vicende di due bambini alle prese con l’orrore della guerra. Il capolavoro di Takahata targato Studio Ghibli ed uscito nel 1988, ha la forza visiva e narrativa che ha, anche grazie alla scelta di Takahata di rappresentare oggetti e paesaggi in maniera il più possibile dettagliati, con un uso dei colori, rossi e gialli su tutti, per rendere la brutalità del fuoco e dei bombardamenti più reali del vero. Da disegni, cel e immagini di un rosso fuoco si passa al pastellato e quasi etereo tratto di Una pioggia di ricordi uno dei lavori più sottovalutati di Takahata, ma uno dei suoi migliori, per chi scrive. La scelta di rappresentare le scene ricordate dalla protagonista adulta in una cornice sfumata quasi come uno schizzo di acquerello è un altro esempio di come Takahata fosse sempre alla ricerca dei limiti del medium. La stanza dedicata a Pom Poko è quasi il contrappunto a quella precedente, dove quella tutta in tonalità tenui e chiare, qui il visitatore si trova davanti un enorme muro tutto coperto di disegni preparatori multicolori e con tratto quasi barocco, dove si muovono i tanuki, i personaggi principali di questo lungometraggio di forte stampo ecologista.

UNA RIVOLUZIONE
Se c’è un periodo in cui lo spirito rivoluzionario e quasi d’avanguardia di Takahata emerge con prepotenza è la fine del secolo scorso, a più di sessant’anni, il giapponese studia gli emakimono giapponesi e nelle sue stesse parole «idolatra Frédéric Back come un maestro». All’artista francese e dallo studio delle storie tradizionali giapponesi Takahata si ispira per realizzare un nuovo tipo di animazione, dove i disegni ed i protagonisti non hanno un contorno ed un limite ben definito, questi nascono e ritornano nel flusso di colori, o di assenza di essi, che costituiscono lo sfondo.
Con questo in mente, Takahata sonda i limiti della cel animation e realizza nel 1999, con colarazione digitale, I miei vicini Yamada. Affascinante è stato vedere come la semplicità del tratto e degli sfondi bianchi di questa storia apparentemente semplice e comica su una famiglia, è in realtà il frutto di un complesso processo per sottrazione. L’evoluzione naturale di queste scelte stilistiche e tematiche sfocia in quello che forse è, anche se è ancora troppo presto per decretarlo, il capolavoro di Takahata, La principessa splendente.
Disegni e molto altro materiale sul film sono intercalati con la proiezione di alcune delle scene più significative e la loro origine, anche se le immagini viste al cinema sono ancora fresche negli occhi, rivederle in questo contesto è stata una rivelazione.
L’evento verrà replicato nella cittadina di Okayama la prossima primavera, la speranza per gli appassionati italiani è che prima o poi arrivi anche in Italia, o almeno in Europa.