Alla Somerset House di Londra è stata appena inaugurata Isabella Blow: Fashion Galore! (fino al 2 marzo 2014). Organizzata in collaborazione con Isabella Blow Foundation e Central Saint Martins (la più importante scuola di moda del mondo) la mostra celebra la personalità e il guardaroba dell’ultima mecenate della moda inglese, nonché una delle ultime icone della moda internazionale, morta suicida (al secondo tentativo) il 7 maggio 2007 dopo un’estenuante lotta contro la depressione e il cancro.
Personaggio straordinariamente eccentrico, Blow nasce a Londra nel ’58, in una famiglia della nobiltà militare, che la diserederà nell’84. Nel ’79 Isabella è a New York per studiare Arte cinese alla Columbia University, e presto è in Texas a lavorare con Guy Laroche, da dove torna a New York e diventa l’assistente prima di André Leon Talley e poi di Anna Wintour a Vogue America, mentre frequenta Andy Warhol e Jean Michel Basquiat. Nell’86 è di nuovo a Londra e lavora per Tatler e Sunday Times Style, tre anni dopo sposa l’art dealer Detmar Blow e indossa il suo primo cappello di Philip Treacy, che diventa il suo primo protetto. Ma a lei si deve soprattutto la scoperta e il lancio nel firmamento della moda di un autentico genio della moda degli ultimi decenni, Alexander McQueen, con il quale vive in una simbiosi artistico-intellettuale-progettuale ancora più forte di quella che poteva legare, nei decenni molto precedenti, Yves Saint Laurent a Loulou de la Falaise e a Betty Catroux. È lei a convincere Bernard Arnault, capo di Lvmh, a dare a McQueen la direzione creativa di Givenchy, che lancia il genio inglese nel mondo della Haute Couture e gli dà la possibilità di costruire con il suo marchio una delle espressioni più originali della moda contemporanea. McQueen si suiciderà l’11 febbraio 2010, anche lui vittima della depressione.
Alla sua morte, Isabella Blow lascia più un museo di abiti che un guardaroba, che l’amica Daphne Guinness (l’ereditiera della birra) salva dalla vendita all’asta e trasferisce nella Fondazione da cui ora nasce la mostra.
Più che un’esibizione nostalgico-celebrativa del gusto e della capacità di Blow a individuare e promuovere le potenzialità artistico-culturali della moda e dei suoi protagonisti, la mostra è l’occasione per riflettere sul ruolo che le fashion icon hanno avuto nel sistema della moda del Novecento, che non si fermava alla semplice rappresentazione di testimonial o di ambasciatrice dello stile del designer ma era addirittura maieutico, cioè un continuo stimolo al designer a ricercare dentro di sé e a trasformare in realtà le fantasie più nascoste che, trasformate in abiti, diventavano espressione di stile dell’epoca. Un ruolo definitivamente finito oggi che «fashion icon» sono definite le blogger di moda che si fanno regalare gli abiti dagli stilisti, si fanno pagare per andare alle loro sfilate e alle loro feste, si fotografano e mettono la foto sul loro blog. E spazio più grande al miglior offerente.
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