All’inizio dell’edizione americana di Der Kunstnmakher fun Lublin, The Magician of Lublin del 1960, Isaac Bashevis Singer sente l’esigenza di ringraziare tutti coloro che hanno lavorato alla traduzione del romanzo: «Desidero esprimere – scrive – la mia gratitudine a coloro che hanno reso possibile la pubblicazione di questo romanzo. Elaine Gottlieb e Joseph Singer (figlio del mio defunto fratello I. Singer, autore dei Fratelli Ashkenazi eccetera) non hanno risparmiato fatiche per far sì che la versione americana del libro fosse fedele il più possibile all’originale yiddish»; aggiunge altri nomi di amici e colleghi «che – prosegue – per anni mi hanno incoraggiato nel difficile compito di far conoscere la narrativa yiddish al pubblico americano. I loro consigli e il loro appoggio hanno sempre avuto un valore inestimabile».

È una nota che in parte ritorna in altre edizioni americane di Singer, soprattutto nei testi radicati nella vecchia Polonia, ma qui coinvolge una intera comunità di sodali, come lui fedeli a una lingua che il nazismo e la modernità stavano annientando. Singer sa bene che si tratta di una traduzione difficile, perché ogni parola in yiddish ha una sua storia, parla di un luogo, di un rebbe, di una emigrazione.

«Ditelo come avete imparato a dirlo a casa» era l’invito di una vecchia insegnante che ben conosceva questa lingua e le sue ragioni. Ed è scontrosa la familiarità di questo linguaggio così ‘materno’ eppure così cedevole alle fusioni. La limpida versione italiana di Katia Bagnoli, Il mago di Lublino, pubblicato ora da Adelphi in una nuova edizione (pp. 230, € 18,00), meno vibrante e affettiva forse di quella ‘classica’ di Bruno Oddera, proposta da Longanesi nel 1963, ha il grande pregio di una attenzione competente e sensibile alle “parole” dell’ebraismo che l’yiddish preserva e celebra: le sue feste, i suoi riti, gli oggetti di culto, l’abbigliamento la sua storia.

Se la lingua di arrivo ha perso le tracce di emigrazioni e integrazioni, conserva però con una forza fino ad ora sconosciuta al lettore italiano l’adesione di Singer al mondo dei padri – soprattutto in un romanzo del ‘ritorno’ come Il mago di Lublino.