Nella storia della letteratura – e in particolare della letteratura statunitense – casi come quello di Irwin Shaw, autore gradito a lettori e recensori suoi contemporanei, che con il passare degli anni ha finito con l’essere quasi del tutto dimenticato, sono tutt’altro che rari. La critica accademica – piaccia o meno – ha fin’ora esercitato un notevole potere sia nel garantire la sopravvivenza dei testi letterari, sia nel decretarne l’irrilevanza. Poiché, tuttavia, il «canone» non è scolpito nel marmo, capita che autori considerati importanti in un determinato periodo storico-culturale, siano messi ai margini per poi tornare a essere riscoperti.

Di Irwin Shaw non si può dire sia mai stato estromesso dal canone non avendone mai veramente fatto parte, con la possibile eccezione del suo primo romanzo, I giovani leoni (1948), dal quale fu tratto il fortunato film con Marlon Brando e Dean Martin, che continua a essere ricordato, al pari di Da qui all’eternità di James Jones e Il nudo e il morto di Norman Mailer, come una tra le narrazioni della seconda guerra mondiale più degna di nota.

Il nuovo cognome
Nato nel Bronx nel 1913 da una famiglia di ebrei russi, Irwin Gilbert Shamforoff cambiò il suo cognome in Shaw al momento di entrare al Brooklyn College, per poi intraprendere una brillante carriera come sceneggiatore e scrittore. Anche se nei primi anni Cinquanta gli capitò di finire sulla famigerata lista nera di Hollywood – ciò che lo indusse a emigrare in Francia e Svizzera, dove visse per circa venticinque anni – Shaw continuò a firmare opere letterarie, teatrali e cinematografiche di notevole successo. I suoi racconti brevi apparvero su tutte le più importanti riviste dell’epoca, da «Collier’s» a «Esquire», dal «New Yorker» al «Saturday Evening Post», e in uno dei rarissimi saggi accademici a lui dedicati, Bergen Evans osservò nel 1951 che Irwin era soprattutto un «maestro dell’episodio» tanto nei suoi romanzi quanto nelle sue short stories. Non c’è dubbio che la forma breve fosse quella che più si avvicinava alla scrittura teatrale, la forma artistica più congeniale al suo talento.

Shaw non abbandonò comunque mai il romanzo, producendo opere tutt’altro che brevi: tra queste, Rich Man, Poor Man, del 1969, che oggi Bompiani ripropone con il titolo Il ricco e il povero (pp. 847, € 24,00) nella traduzione degli anni Ottanta di Attilio Veraldi (scorrevole, anche se avrebbe beneficiato di qualche ritocco). Nella sua introduzione, Mario Fortunato imputa il divario tra gradimento popolare e indifferenza della critica accademica all’ascesa dello strutturalismo e di una sensibilità metaletteraria che siamo abituati ad associare al post-moderno: in realtà, dominata com’era dai New Critics, l’accademia americana era già a suo modo «formalista», ben prima dell’importazione di modelli critici europei. Non c’è dubbio, tuttavia, che mentre la narrativa americana si muoveva in direzione di quel rinnovamento radicale, ben rappresentato dall’ascesa di figure come Roth e Pynchon, Heller e Barth, lo stile e le strutture narrative di Shaw apparivano legate alla lezione realista e naturalista di fine Ottocento e inizio Novecento.

Il ricco e il povero segue le vite di Thomas, Gretchen e Rudolph, i tre figli dell’immigrato tedesco Axel Jordache e dell’orfana Mary Peace, le cui energie vitali si misurano con le pressioni dell’ambiente e i capricci del destino. La saga della famiglia Jordache, nelle sue pagine migliori, ricorda il mondo di opportunità e ferree limitazioni in cui si dibattono i personaggi di Norris, London e Dreiser, così come il tono «muscolare» privilegiato dal narratore.

Spesso, il linguaggio è quello della strada, in sintonia con l’appena dignitosa povertà nella quale la famiglia si ritrova a vivere mentre la Seconda guerra mondiale volge al termine. I tre giovani Jordache devono fare affidamento soprattutto su sé stessi, e ognuno prova a sfruttare – spesso con un risentimento atavico che la voce narrante e i personaggi stessi ascrivono al «sangue» della famiglia – le proprie qualità: la forza fisica, nel caso di Thomas; l’avvenenza, in quello di Gretchen; la determinazione e il fiuto per gli affari per Rudolph.

Nel corso delle vicende, che giungono sino alla seconda metà degli anni Sessanta, i personaggi evolvono in direzioni in parte inaspettate, e il romanzo sembra virare verso una versione aggiornata dell’archetipica rags to riches story, per poi sovvertire le aspettative del lettore con colpi di scena il cui scopo è ribadire come, di fronte a un imponderabile destino, non c’è sogno americano che tenga.

Il romanzo si chiude però con una sorta di redenzione morale: Thomas – già ragazzo violento, cinico e ribelle – paga per colpe altrui e per la sua generosità. Il suo sacrificio, mentre la guerra del Vietnam va raggiungendo l’apice della distruttività, offre un ennesimo esempio della fragilità di un mondo percorso – come questo romanzo mette bene in luce, intrecciando i destini degli individui ai conflitti che punteggiano la storia del Novecento – da una violenza endemica.

Un enorme successo
Rich Man, Poor Man non solo vendette milioni di copie, ma venne poi adattato in una serie televisiva con Peter Strauss e Nick Nolte, dal titolo omonimo e anch’essa di enorme successo, non solo in America, ma in tutto il mondo di lingua inglese. La circostanza merita di essere ricordata perché, letto oggi, il romanzo dà l’impressione di avere pregi e difetti tipici di molte fortunate serie contemporanee. I personaggi sono di grande impatto drammatico, i dialoghi serrati (e talvolta anche divertenti), la trama avvincente. Ma come molte serie Tv, anche il libro di Shaw a lungo andare fatica a tenere il ritmo delle prime parti, scivolando inesorabilmente verso il melodramma.

Sarebbe tuttavia sciocco aspettarsi da Shaw ciò che ci sia attende da Henry James; è evidente che non sono i meandri delle coscienze individuali ad affascinarlo bensì lo scontro senza tregua tra l’ambiente e le aspirazioni individuali. Non per nulla il titolo originale del romanzo fa riferimento a una celebre «conta» che i bambini inglesi e americani recitano per «vedere a chi tocca»: ricchezza e povertà c’entrano solo relativamente. Vero protagonista della storia è il caso. Tutto può succedere. E fra questo tutto, anche che Irwin Shaw sia ricordato nelle storie letterarie del futuro come una figura non marginale della narrativa americana.