Di sé diceva spesso: «Avevo voluto entrare nell’industria del cinema per raccontare storie e fare film invece mi ero trovato prigioniero della televisione». Ma Irrfan Khan, che è morto ieri a cinquantatre anni per una rara forma di tumore, era infine diventato una star in India e nel resto del mondo. È vero, gli esordi non erano stati semplici, doveva essere un giocatore di cricket se il destino – o le circostanze? – non avessero preparato per lui qualcos’altro. Visto che con lo sport non aveva funzionato, il ragazzi aveva deciso di iscriversi alla scuola d’arte drammatica, una volta fuori però il mondo del cinema indiano sembrava non volersi accorgere di lui. Nell’88 Khan era riuscito a ottenere un piccolo ruolo nel film di Mira Nair Salaam Bombay!, il resto erano solo soap televisive, telenovelas che lui detestava.

NATO A Jaipur, nel 1966, figlio di un rivenditore di pneumatici, Irrfan Khan inizia la sua carriera negli anni Ottanta: la sua « battaglia» nel cinema va avanti finché non riceve la proposta da un regista inglese fino allora sconosciuto, Asif Kaipur, al suo primo film, un storia low budget di samurai che vuole girare in India. The Warrior (2002) sarà un successo, selezionato al festival di San Sebastian, vince il Bafta per il miglior film inglese e viene scelto per rappresentare la Gran Bretagna agli Oscar. E per Irrfan Khan – che era nato come Saahabzaade Irfan Ali Khan – è un nuovo inizio. Da allora infatti diviene una presenza costante nei film indiani, spesso nei ruoli di poliziotto o di «cattivo» (come in Maqbool, adattamento del Macbeth di Shakespeare ambientato a Mumbai), fino a incarnare l’icona dei grandi successi i Bollywood.

Anche se Irrfan Khan non amava questa definizione: «La parola Bollywood non mi piace, la nostra industria ha una sua tecnica che è molto diversa da quella hollywoodiana, discende piuttosto dal teatro Parsi» spiegava. E lui lo sapeva bene visto che nel frattempo aveva continuato a lavorare anche tra Inghilterra e America. Mai a caso però. Ci teneva a scegliere come aveva dichiarato in una intervista (su «The Guardian») di qualche anno fa: «All’inizio facevo un po’ tutto, poi mi sono fermato, mi sentivo vuoto. Si devono seguire le proprie passioni, si deve essere convinti delle proprie scelte». Che per lui si sono rivelate grandi successi, come il super-premiato (anche con molti Oscar) La vita di Pi di Ang Lee (2012) in cui dà vita al protagonista adulto che ripercorre in flashback – tra sogno fantastico e metafora – la propria esistenza, o The Millionaire di Danny Boyle (2008) vincitore di otto statuette.

LA FIGURA di Khan attraversa le grandi produzioni come The Amazing Spiderman (2012), Jurassic World (2015), Inferno (2016), ma anche del cinema di autore come quello di Wes Anderson che per lavorare insieme a Irrfan Khan aveva scritto un ruolo per lui in The Darjeeling Limited. O come The Lunchbox di Ritesh Batras – presentato alla Semaine de la Critique di Cannes nel 2013 – molto amato dalla critica e anche un successo al box office indiano, la storia d’amore a distanza tra un uomo e una donna vissuta attraverso il cestino del pranzo. L’ultimo film di Khan, Hindi Medium, racconta la battaglia di un padre(Khan) per iscrivere la figlia in una prestigiosa scuola inglese a Delhi.