A quarant’anni dal terremoto in Irpinia i rituali del lutto permanente investono una comunità attaccata da sempre ad un terreno instabile. Su un terreno dissestato dal rancore, inaridito dall’indifferenza e dal passo irrispettoso del potere padronale, bisogna scegliere bene da che parte ricominciare ogni qual volta si ripresenta il diritto dovere di ripulire le macerie. Ad una memoria che si deframmenta nelle crepe di una terra mai del tutto risarcita, si antepone l’urgenza di ricomporre i pezzi di una verità comune. È questo l’obiettivo di scrittori e storici irpini che in questi giorni e su questi temi pubblicano testi e propongono eventi che ci ancorano ad una riflessione sul precario passato presente.

Storia di una ricostruzione. L’Irpinia dopo il terremoto (Rubbettino, pp 244, euro 15), è il libro di Stefano Ventura, puntuale analisi storico-critica dei mutamenti urbanistici, industriali, legislativi nei paesi colpiti dal terremoto.
Apre lo spazio ad una geografia sentimentale legata al sisma Memorie del cratere. Storia sociale del terremoto in irpinia (Editpress, pp 296, euro 20) di Gabriele Ivo Moscaricolo. Generoso Picone, con il suo Paesaggio con rovine. Irpinia: un terremoto infinito (Mondadori, pp. 228, euo 18.00) ci accompagna in un intenso viaggio letterario tra memoria e presente che fa luce sulle dinamiche preesistenti al terremoto del 1980 per cui «la costrizione alla genuflessione diventava la prassi». Il terremoto dell’Irpinia (Donzelli, pp. VI-202, euro 23) di Luigi Fiorentino, Toni Ricciardi e Generoso Picone insiste sull’importanza di condividere le colpe e le memorie riaccendendo il dibattito su questi temi che ci riaggancia inevitabilmente al libro-inchiesta del 1990 Grazie, sisma. Pomicino, Scotti, De Mita & c. Dieci anni di potere e terremoto a firma di Andrea Cinquegrani, Enrico Fierro e Rita Pennarola.

In Alta Irpinia, infine, presso il MAVI di Lacedonia, la mostra fotografica L’emergenza infinita, sugli eventi sismici più rilevanti del XX secolo in Irpinia, apre orizzonti di conoscenza e confronto «sottraendosi al rito di autocelebrazione istituzionale – come afferma il curatore Paolo Speranza – che sta caratterizzando, fino a cloroformizzarlo, il dibattito sulla ricostruzione».

L’ «Irpinia-gate» è un processo aperto. Perseverare nella testimonianza significa non abboccare gli avanzi della corruzione, imparando a dialogare con i morti per comprendere meglio i vivi sepolti dal macigno della dis-identificazione. Riaffermare il primato della ricerca di sé nel proprio territorio, attraverso l’impietosa disamina sulle implicate responsabilità, è oggi dichiarazione politica contro le strategie dell’abbandono e dell’autocommiserazione depotenziante, contro il miope asservimento agli speculatori delle tragedie.