Ora che la prima fase delle negoziazioni sulla Brexit ha raggiunto un qualche punto fermo, in Irlanda quasi tutte le parti cantano vittoria. Il Dup oltranzista di Arlene Foster, sul cui manipolo di deputati si regge la maggioranza di Theresa May, esulta per sei presunte «sostanziali modifiche» al testo.

La leader del Dup annuncia che l’obiettivo di spostare il confine effettivo (quello economico-commerciale) tra Ue e Uk al largo del canale di San Giorgio è fallito, e che l’Irlanda del Nord rimarrà non solo costituzionalmente, ma anche dal punto di vista degli scambi commerciali e delle dinamiche economiche, parte integrante del Regno Unito. Il portavoce del suo partito vanta la difesa dell’integrità della Gran Bretagna come obiettivo da sempre perseguito, e ora riconosciuto in tutto e per tutto grazie alla mancata approvazione dello statuto speciale per la regione Nord Irlanda richiesto da Sinn Féin.

Questa vittoria di Pirro, un possibile boomerang dal momento che la Ue è tra i maggiori partner commerciali sia del Nord che del Sud dell’isola, viene presentata come uno smacco nei confronti del maggior partito repubblicano. Sinn Féin, infatti, cavalcava le difficoltà nei negoziati, e la volontà chiaramente espressa dall’Irlanda del Nord di non abbandonare l’Ue, nella speranza di una riunificazione dell’isola.

Anche il governo di Dublino, guidato dal conservatore Leo Varadkar, parla di una giornata significativa spiegando di aver raggiunto tutti gli obiettivi di questa fase preliminare dei negoziati.

Si dice soddisfatto dei progressi ottenuti, e dei parametri condivisi che costituirebbero un promettente punto di partenza. Che la Repubblica d’Irlanda si sia spesso disinteressata delle sorti del Nord è cosa risaputa, e sono da leggere in quest’ottica le reazioni ottimistiche di Varadkar. Il testo precedente, infatti, prevedeva maggiori spazi di manovra in previsione di una, pur economicamente fondata, riunificazione delle due Irlande.

I dodici articoli dell’accordo che riguardano la situazione irlandese ribadiscono a parole il supporto incondizionato nei confronti degli accordi di pace e dell’impegno dei due governi nel mantenimento di una pacificazione di fatto. Tuttavia, non si interviene affatto sui punti chiave che hanno determinato lo stallo politico-amministrativo in Irlanda del Nord; primo tra tutti il riconoscimento dell’uguaglianza, in termini di diritti e pari opportunità, tra tutti i cittadini.

Gli articoli in questione dimostrano come la situazione reale sia velata da dense foschie. Non a caso il presidente uscente di Sinn Féin, Gerry Adams, ammonisce che troppe questioni restano insolute: «Brexit danneggerà le nostre economie per generazioni a venire – ha spiegato – e il comunicato formula soltanto indirizzi generali. Non dice nulla sui problemi degli irlandesi che vivono nel Nord o a ridosso del confine. Sappiamo grazie ad anni di esperienza di negoziazioni con i britannici, che il diavolo è nel dettaglio». Basta infatti leggere l’accordo per capire le preoccupazioni di Adams: «Art. 50. In assenza di soluzioni condivise, il Regno Unito garantirà che non venga creato un confine tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito, a meno che, come dettato dagli accordi del 1998, l’Esecutivo dell’Irlanda del Nord non ritenga necessarie determinazioni alternative».

Difficile non leggere una nota di ironico disfattismo nelle parole del primo ministro irlandese Varadkar: «Non siamo alla fine, ma soltanto alla fine dell’inizio».