Quella che regna a Belfast è una calma piatta, o sono invece carboni ardenti che covano sotto le ceneri? È questa la domanda che non trova risposta da qualche settimana. Subito dopo le elezioni generali britanniche di dicembre, i due partiti maggiori del Nord, Sinn Féin e Dup, hanno visto i loro consensi diminuire a favore principalmente di un partito che non fa riferimento a una delle due comunità principali, ma che cerca sin dalla sua nascita un consenso trasversale, Alliance.

E così, proclamati i risultati, i due partiti principali hanno subito ripreso a parlare, e sono riusciti in fretta e furia a instaurare un nuovo governo misto dopo quasi tre anni di stallo. L’hanno fatto probabilmente per non perdere altri elettori e credibilità; ma anche perché, avere una qualche forma di autogoverno deve essere apparsa come l’unica soluzione per rimanere rilevanti; questo in uno scenario in cui, di fatto, l’Irlanda del Nord, politicamente non ha più grossa presa sugli equilibri del governo centrale, come invece era stato per decenni.

A ridosso della data fatidica del 31 gennaio 2020, in cui il Regno unito inclusa l’Irlanda del Nord lascerà la Ue, nulla sembra cambiare, se non l’incertezza diffusa. Le due leader del governo, Arlene Foster (prima ministra, Dup) e Michelle O’Neill (vice prima ministra, Sinn Féin) si sono inizialmente lasciate andare a dichiarazioni distensive per riuscire a collaborare al meglio. La loro preoccupazione maggiore in questi giorni è tuttavia quel che accadrà in termini di regolamentazione della circolazione dei beni tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna, dal momento che è stato a più riprese e da più parti confermato che non verrà imposta alcuna frontiera tra il sud e il nord dell’isola.

Lo status quo, secondo l’accordo tra Johnson e la Ue, rimarrà identico per tutto il 2020, anno in cui saranno condotte intense negoziazioni – alla presenza solo parziale dei politici nordirlandesi – che inizieranno il prossimo 2 marzo. Per evitare controlli doganali è stato per ora stabilito che per l’Irlanda del Nord continuerà a seguire le regole europee a differenza del resto del Regno Unito, e dunque ad applicare ai suoi porti le regolamentazioni Ue. Il nodo del contendere, che andrà assolutamente sciolto, è appunto la presenza o assenza di dazi, nel momento in cui le merci attraverseranno il canale di San Giorgio. Già si teme un aumento della burocratizzazione doganale, con la risultante di gravi ritardi e tariffe differenziate dei beni.

Le due leader pochi giorni fa hanno ribadito in un incontro a Cardiff che non dovranno esserci ostacoli al libero commercio, ma senza specificare i dettagli di come ciò potrà avvenire. Ovviamente, sarebbe possibile soltanto in una situazione di mercato unico, ma è indubbio che tutto il dibattito sulla Brexit si giocava proprio su quest’ambiguità. Il commissario europeo Michel Barnier aveva già spiegato, in un incontro alla Queen’s University di Belfast, che i controlli saranno una conseguenza indispensabile di ogni tipo di negoziazione; ha poi incontrato O’Neill e Foster, che restano comunque, chissà perché, fiduciose.

È un dato di fatto che i politici del Nord siano isolati sia rispetto alle decisioni del governo centrale sia rispetto a quelle dell’Unione Europea (e nel loro caso il referente principale dovrebbe essere la Repubblica d’Irlanda).

Infatti, una delle prime mozioni passate a maggioranza assoluta nel neo-riunitosi parlamento di Stormont, è stato il rigetto dell’accordo tra Johnson e la Ue. Sulla stessa linea si sono mossi anche il parlamento scozzese e quello gallese.

La differenza irlandese, tuttavia, è il dibattito – ancora non troppo in corso – sulla possibile riunificazione tra le due Irlande. Sinn Féin chiede un forum permanente per poterne discutere senza pregiudizi, ma dalla Repubblica i segnali sono controversi: in molti credono che la prospettiva sia troppo lontana nel tempo, e comunque estremamente divisiva dal punto di vista sociale e identitario. Il referendum sulla riunificazione che auspica Sinn Féin non appare infatti probabile a breve termine. Ma c’è un’incognita.

Nella Repubblica, l’8 febbraio prossimo si terranno le elezioni generali. Secondo i sondaggi, Sinn Féin è in forte crescita, anche per via di un clamoroso autogol del principale partito governativo, il Fine Gael. Nelle settimane passate il governo ha proposto di inserire nelle commemorazioni del centenario del Trattato di pace con gli inglesi del 1921, anche le forze ausiliari che allora affiancarono la Ric, la polizia irlandese fedele alla corona. Si tratta dei cosiddetti Black and Tan, colpevoli di feroci omicidi e rappresaglie ai danni del popolo irlandese. La proposta, proveniente proprio dal partito erede di chi accettò che l’isola, nel 1921, venisse divisa in due, ha suscitato enorme indignazione; e Sinn Féin ha saputo interpretarla benissimo, oltre a puntare il dito sulle diseguaglianze economiche, sulla mancanza di case popolari, e sui problemi della sanità. Alla luce di un possibile, ma non probabile, governo a trazione Sinn Féin nel Sud, anche la prospettiva della riunificazione sarebbe vista con altri occhi.

Nel frattempo, a Belfast arrivano contraddittori segnali distensivi, come dimostra la volontà di ristrutturare una delle famose peace lines, gli altissimi e spessi muri che separano le due comunità maggiori in diverse aree a rischio della capitale. In questo caso, parliamo del muro che divide New Lodge e Tiger’s Bay. Non si parla di cancellarlo, ma dopo che sarà abbattuto, di ricostruirne uno non più alto come in passato. Distensione o solo pacificazione? Ai posteri l’ardua sentenza.