Il 2 marzo si vota in Irlanda del Nord per il parlamento di Stormont, dopo il collasso dell’esecutivo misto formato da repubblicani di Sinn Féin e unionisti del Dup (Democratic Unionist Party). Il tutto ha avuto inizio con le dimissioni del co-primo ministro ed ex leader dell’Ira, Martin McGuinness, il 10 gennaio del 2017, coincise con l’abbandono per motivi di salute dell’arena politica. La sofferta decisione deriva in realtà dal coinvolgimento del suo omologo unionista, il primo ministro Arlene Foster, in uno scandalo sui rimborsi pubblici per l’impiego di eco-energie. E ancor più dall’effettivo stallo in cui versava il governo negli ultimi anni per colpa del maggior partito protestante.

IL DUP HA INFATTI MOSTRATO in più di un’occasione, di recente, di voler continuare a trattare la controparte con superiorità, arroganza e disprezzo, dimenticando il principio di eguale dignità tra le due comunità sancito dagli accordi del Venerdì Santo del 1998, su cui si fonda il Processo di Pace.

 

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Michelle O’Neill, che ha sostituito Martin McGuinness alla guida di Sinn Féin

 

Le elezioni alle porte hanno un esito più che mai incerto. La Foster dimostra, negli ultimi interventi pubblici, di avere una vera ossessione per lo Sinn Féin, di cui si ostina a ignorare le politiche progressiste e oramai lontane dall’identitarismo degli anni del conflitto. Ne è riprova il fatto che, una volta uscito di scena McGuinness, la ex premier abbia continuato a non ritenere suo interlocutore principale la quarantenne Michelle O’Neill che l’ha sostituito, proseguendo nel solco di una dubbia retorica della demonizzazione di quello che chiama lo «Sinn Féin di Gerry Adams». Nell’ultimo comizio ha nominato Adams 44 volte nel giro di pochi minuti.

IL RISCHIO DI QUESTE ELEZIONI, a detta degli unionisti, è che Sinn Féin divenga per la prima volta nella storia il partito più rappresentativo del parlamento nordirlandese. L’ipotesi potrebbe tuttavia essere non troppo veritiera, per l’exploit previsto delle sinistre che non si riconoscono necessariamente nei partiti che rappresentano le due maggiori comunità.

C’È POI IL TERRORE DEL DUP di scendere sotto la soglia fatidica dei 30 membri del parlamento che negli ultimi anni gli ha assicurato lo status di maggior partito. La leadership del Dup punta dunque a rievocare fantasmi del passato che possano trasformare le elezioni in una conta tra le due comunità, augurandosi di sancire per l’ennesima volta la superiorità demografica della fazione unionista protestante. In realtà negli ultimi anni, anche dal punto di vista demografico stanno cambiando le cose, e non è assolutamente peregrino immaginare che nel giro di una generazione gli equilibri saranno definitivamente stravolti. Uno scenario che darebbe concretezza a quel passaggio dell’Accordo del Venerdì Santo per cui l’Irlanda del Nord rimarrà sotto l’egida del Regno Unito fintanto che la sua popolazione lo vorrà.

GLI ULTIMI SEGNALI, soprattutto quelli dati dagli esiti del referendum sul Brexit, fanno pensare poi che esista già una maggioranza a favore della riunificazione delle due Irlande. Una scelta motivata principalmente da ragioni di vantaggi economici, ma anche dalla volontà di non essere ripiombati nello spettro di un passato di violenze che l’imposizione, abbastanza probabile, di un confine riconoscibile e pattugliato tra l’Eire (Ue) e l’Irlanda del Nord (Uk) renderebbe più che tangibile.

DI RIUNIFICAZIONE, d’altro canto, parlano timidamente anche i leader della Repubblica d’Irlanda. Tra questi Enda Kenny, a capo del partito conservatore e del governo, che però da un lato vede nella United Ireland una possibilità di aumentare la capacità economica del proprio paese, potendo inglobare anche le potenzialità latenti in Ulster, e dall’altro teme che Belfast possa finire per sostituire Dublino come meta degli investitori stranieri in fuga dal Regno unito. A quest’ultimo timore si deve, parrebbe, il fatto che nell’ultima audizione davanti alla Commissione Europea a Bruxelles, Kenny abbia abilmente glissato sulla questione dirimente di concedere uno status speciale all’Irlanda del Nord per consentirle di restare all’interno del mercato europeo.

Sarebbe l’unica condizione che consentirebbe di evitare il ritorno a un confine materiale tra le due Irlande.