Il termine «coraggio» viene speso con parsimonia nel libro di Ritanna Armeni Una donna può tutto. 1941: volano le Streghe della notte (Ponte alle Grazie, pp. 230, euro 16, scritto con la preziosa collaborazione dell’interprete Eleonora Mancini). Non c’è bisogno di nominarlo.

Ogni riga di questa storia incredibile ed emozionante, raccontata a Mosca da una donna di 96 anni che da ragazza aveva volato e combattuto con uno dei primi tre reggimenti esclusivamente femminili nella storia, parla di un coraggio indomito.

Il coraggio di Irina Rakobolskaja e di tutte le sue compagne, ragazze giovanissime che subito dopo l’invasione tedesca riuscirono ad arruolarsi e costituire reggimenti di sole donne prima derisi, poi temuti, infine rispettati ed esaltati.

VOLAVANO SUI POLIKARPOV, aerei di legno con la carlinga scoperta, senza strumentazione tecnica né radio: sembravano grossi giocattoli, non superavano i 1000 metri d’altitudine, però erano maneggevoli e agilissimi.

Divennero l’incubo degli invasori, martellati notte dopo notte. Furono loro, i soldati di una Wehrmacht che pareva invincibile, a coniare il nome, Nachthexen, Streghe della notte.

Alle giovanissime aviatrici fu necessario un coraggio persino maggiore per fronteggiare le reazioni dei maschi: le resistenze, lo scherno, le umiliazioni, i sabotaggi.

Dove mai si erano visti reggimenti di sole femmine, e orgogliosamente separatiste oltre tutto?

Le chiamavano «le principessine». Ridevano dei capelli tagliati corti, delle divise cucite per soldati grossi il doppio. Le streghe combatterono consapevolmente una guerra su due fronti.

Colpirono i nemici più duramente di ogni altro, con un maggior numero di missioni notturne, sfidando pericoli maggiori e compiendo acrobazie più temerarie, per superare i maschi. Dimostrarono di essere valorose quanto e più degli uomini per cacciare gli invasori nazisti.

Le aviatrici del reggimento 588, di cui Irina era vicecomandante, volevano provare di poter combattere anche meglio degli uomini, e ci riuscirono. Senza imitarli però.

Dal racconto lucido della vicecomandante e dalla lettura appassionata che ne restituisce l’autrice di questo libro, la differenza nell’approccio alla guerra delle ragazze emerge spontaneamente, senza bisogno di essere sottolineata.

Risalta grazie a decine di particolari, esplode nella durissima condanna con cui Irina bolla le violenze e gli stupri compiuti dall’Armata Rossa in Germania nel 1945.

Le Nachthexen in Russia sono eroine nazionali. Però la loro storia è stata piano piano quasi dimentica.

 

Ritanna Armeni e Eleonora Mancini si sono imbattute in quella leggenda reale intervistando l’ultimo sopravvissuto del gruppo di cinque soldati che per primi misero piede nell’inferno di Auschwitz.

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LA RICERCA NON APPRODÒ a nulla ma dopo un po’ le streghe si manifestarono di nuovo, sotto forma di un vecchio francobollo sui banchi di un mercato dell’usato. Raffigurava Marina Raskova, leggendaria aviatrice uscita indenne da nove giorni di impossibile lotta per la sopravvivenza dopo essersi lanciata col paracadute nella Taiga. La prima a pronunciare la frase diventata il motto del Reggimento 588: «Una donna può tutto».

Gli aviatori, all’epoca, erano divi, nell’Urss come negli Usa. Marina Raskova diventò popolarissima, tanto da riuscire a strappare al riluttante Stalin, dopo l’invasione, il permesso di formare e comandare tre reggimenti femminili. Morta in missione a 31 anni, nel ’43, le fu tributato il primo funerale di Stato della guerra.

La pista aperta da quel francobollo, alla fine, ha portato Ritanna Armeni a incontrare Irina, l’ultima del reggimento ancora in vita.

Era stata celebrata e stimata docente di Fisica, aveva tenuto per decenni viva la memoria di quell’epopea slittata sempre più nell’ombra. Tra la vecchia guerriera e le due italiane, tra la femminista degli anni ’70 e la strega che aveva praticato il separatismo prima che qualcuno lo pensasse, scatta un’alchimia formidabile e si prolunga per numerosi colloqui nella casa dell’anziana docente, a due passi dall’Università. Il risultato è un libro non solo bello ma magico.

IRINA TRASCINA l’autrice e l’interprete nella tempesta di una vicenda esaltante e tragica.

Inizia con un gruppo di studentesse poco più che ventenni. Partono per la guerra ridendo come collegiali ma nascondono dietro l’ingenuità una determinazione ferrea.

Prosegue con la rotta dell’Armata Rossa travolta dalla Wehrmacht fino a che arrivano i lutti, le prime vittime dei combattimenti aerei, a stracciare il velo quasi giocoso che aveva accompagnato le reclute persino nel duro addestramento.

Poi la rabbia contro gli uomini che si rifiutano di riconoscere il loro valore, le azioni sempre più spericolate, le compagne uccise, gli aerei di legno che s’infiammano nel cielo bruciando le streghe al loro interno.

Fino alla vittoria e al ritorno alla «normalità» della vita di donne, mogli e madri.

Irina è morta un mese dopo la serie di colloqui con l’autrice. Nonostante i grandi riconoscimenti ufficiali, i giornali russi non hanno speso una riga.

Dopo la guerra avrebbe voluto restare nell’esercito: le fu vietato.

Una donna può tutto racconta la storia gloriosa di un gruppo di donne che fecero a pezzi la divisione convenzionale dei ruoli nell’Unione sovietica, ma anche quella mesta di come quella norma soffocante fu poi silenziosamente ricostruita.

Ricorda che nessuna rottura è mai definitiva, perché il potere, ogni potere, è un muro di gomma che assorbe i colpi e sa riparare al momento giusto ogni lacerazione. Però ricorda anche che quella tela opprimente può sempre essere lacerata di nuovo.