Alla fine la notizia che migliaia di iracheni attendevano da oltre due mesi è arrivata ieri pomeriggio un po’ a sorpresa: il premier iracheno Abdel Abdul Mahdi ha annunciato che presenterà le sue dimissioni al parlamento. Il primo ministro, sul cui governo gravano le responsabilità per le uccisioni di almeno 417 dimostranti, ha fatto sapere in un comunicato «di aver ascoltato con grande preoccupazione» le parole del Grande Ayatollah Ali al-Sistani e di aver deciso di assecondarlo. Poche ore prima, infatti, nel corso del sermone del venerdì pronunciato a Kerbala da un suo rappresentante, la massima autorità sciita del Paese avevo chiesto esplicitamente un «cambiamento di leadership».

 

Il Grande Ayatollah Ali al-Sistani (Afp)

 

AL-SISTANI STA EMERGENDO sempre di più in queste ore come il protagonista della crisi irachena. Se è vero che sin dall’inizio delle mobilitazioni il religioso sciita ha sempre sostenuto pubblicamente il movimento di protesta invitando i politici ad ascoltare le loro richieste, è pur vero che mai come ieri si era spinto a chiedere esplicitamente la testa del premier. Del resto, al di là di pur sincere preoccupazioni umanitarie e amor di patria, al-Sistani sa bene che il caos e l’incertezza non convengono al potente clero sciita locale di cui rappresenta l’apice. E così, di fronte all’ennesimo massacro di stato avvenuto giovedì (oltre 45 le vittime) e dinanzi all’assalto del consolato iraniano di Najaf da parte dei dimostranti, avrà pensato che la misura fosse colma e che il tempo di intervenire in modo perentorio fosse giunto. Prima di tutto chiedendo ai parlamentari di staccare la spina del governo Abdel Mahdi e di porre fine alle violenze delle forze dell’ordine, ma anche lanciando un messaggio ai manifestanti «di non attaccare proprietà e persone».

Quello che accadrà nelle prossime ore è al momento poco chiaro: secondo gli analisti iracheni, il parlamento dovrebbe accettare le dimissioni di Abdel Mahdi quando si riunirà domenica per una sessione di emergenza. A quel punto, dovrebbero partire i negoziati guidati dal capo di Stato Salih per decidere chi lo sostituirà.

Il passo indietro di Abdel Mahdi testimonia comunque la sconfitta di tutte le forze politiche: era stato infatti il candidato di compromesso che avrebbe dovuto permettere la continuazione di privilegi economici e politici.

L’ANNUNCIO DELLE DIMISSIONI è stato accolto con balli e gioia nella Piazza Tahrir di Baghdad, ormai da due mesi fulcro delle proteste anti-governative e simbolo di un nuovo Iraq dove non c’è più spazio per il settarismo e per una politica corrotta e incapace di risolvere i problemi quotidiani che affliggono milioni di iracheni. «Anche se abbiamo pagato un prezzo salato per giungere a questo punto, quanto accaduto oggi vuol dire che i nostri sacrifici sono valsi a qualcosa» ha detto ad al-Jazeera il 24enne Mustafa. Ma i casi di Algeria (rimozione di Bouteflika) e Libano (dimissioni del premier Hariri) insegnano che quanto ottenuto non è che solo un primo obiettivo delle mobilitazioni. Gli iracheni scesi in strada lo sanno bene e perciò assicurano che la loro lotta continuerà finché l’intera classe politica non sarà rimossa. Bisogna capire quanto sangue sarà ancora versato: solo ieri altri 8 manifestanti sono stati uccisi: 5 nella provincia di Najaf, 3 in quella di Dhi Qar. Oltre 40 i feriti.

 

Baghdad, 29 novembre 2019 (Afp)