L’Europa manda messaggi rassicuranti. Quello sul programma nucleare dell’Iran, spiegavano ieri funzionari dell’Ue, «è un accordo multilaterale, negoziato per molti anni. Un’intesa che è nell’interesse di tutte le parti che l’hanno negoziata, perché ha trovato una soluzione politica per un potenziale conflitto». Dietro le quinte però gli europei e le altre parti coinvolte nella storica intesa raggiunta nel 2015 tra il gruppo del 5+1 e Tehran, sanno che il neo presidente americano è in grado di fare danni gravi. «Qualsiasi cosa frutto di un ordine esecutivo può essere revocata con un ordine esecutivo», ha detto alla Reuters Zachary Goldman, un ex dirigente del Tesoro americano. Lo stesso portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, dice che l’accordo non è legalmente vincolante e che Trump può rifiutarsi di rispettarlo, almeno in parte, a cominciare dall’allentamento delle sanzioni economiche statunitensi nei confronti dell’Iran, uno dei punti più importanti dell’intesa. Già a metà mese il Congresso potrebbe votare la proposta di legge del repubblicano Bill Huizenga volta ad impedire la vendita, autorizzata dall’Amministrazione a settembre, di 80 aerei della Boeing alla Iran Air.

Donald Trump quindi è in grado di frenare l’accordo, con la piena collaborazione del Congresso dominato dai Repubblicani tenaci oppositori dell’intesa voluta da Barack Obama e apertamente schierati dalla parte di Israele e contro l’Iran. Non lo getterà nel cestino dei rifiuti perché qualcuno gli spiegherà – forse l’ha già fatto Obama nell’incontro dell’altro giorno alla Casa Bianca – che questo darebbe a Tehran il via libera per dotarsi di armi atomiche, ammesso che la Repubblica islamica intenda farlo, visto che ha sempre negato di voler assemblare bombe nucleari nelle sue centrali. Tuttavia solo avanzando l’idea di rinegoziare il trattato Trump scatenarebbe il caos politico in Iran rafforzando quelle componenti più radicali che non hanno mai creduto alla sincerità degli Stati Uniti e dell’Europa e alla fine completa delle sanzioni internazionali contro il Paese. «Se Trump adotterà la linea dura contro l’Iran durante la prima fase del suo mandato, questo si rifletterà inevitabilmente nelle elezioni presidenziali iraniane tra otto mesi, senza contare le conseguenze in Iraq e in altri Paesi della regione», prevede Salem Mashkour del quotidiano iracheno as Sabah.

Nessuno dimentica che lo scorso giugno l’ayatollah Khamenei, rispondendo ai proclami elettorali del tycoon, proclamò perentorio «Noi non violiamo l’accordo, ma se l’altra parte lo viola, se strappa l’intesa, noi la bruceremo». Parole pronunciate quando nessuno immaginava di vedere Trump alla Casa Bianca. Invece l’inimmaginabile si è materializzato e la stampa iraniana riporta l’allarme scattato a Tehran. «Se l’America annulla l’accordo nucleare si rivelerà un paese inaffidabile che non rispetta i suoi impegni nei trattati internazionali…Per fortuna la struttura politica (americana) non consente a una persona a fare ciò che vuole» ha scritto il quotidiano conservatore Khorasan a metà tra l’avvertimento e la speranza. Ieri pomeriggio sono arrivate puntuali e taglienti le parole dell’ayatollah Ahmed Khatami, delegato di Khamenei a svolgere la preghiera del venerdì. Trump, ha detto, dovrebbe chiedere «rispettosamente scusa al popolo iraniano» per averlo definito terrorista nella sua campagna elettorale e non dovrebbe «giocare con la coda del leone». Khatami ha suggerito al nuovo presidente di non ripetere gli errori dei suoi predecessori perchè il mondo «è stufo dell’avventurismo degli Usa». In serata à giunto l’avvertimento del ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif. L’Iran, ha detto, conferma il «pieno impegno» al rispetto dell’accordo ma se qualcuna delle altre parti non lo rispetterà ci sono «altre opzioni a disposizione della Repubblica islamica». A buon intenditor.

Alla finestra, ad attendere fiduciosi gli sviluppi, ci sono l’Arabia saudita e Israele. Re Salman spera che Trump, a differenza di Obama, prenda a schiaffi i suoi odiati nemici iraniani. Il premier Netanyahu si aspetta che il neo presidente mantenga le promesse fatte in campagna elettorale, non solo quella di Gerusalemme tutta per Israele ma anche quella fatta a marzo che la sua «priorità numero uno» sarebbe stata quella di “smantellare l’accordo con l’Iran” sul nucleare.