Con oltre 87mila morti, l’Iran è il paese del Medio Oriente maggiormente colpito dalla pandemia. In questi giorni gli iraniani devono affrontare la quinta ondata di Covid-19, con la variante Delta presente in numerose regioni. Il programma di vaccinazione va però a rilento: hanno ricevuto almeno una dose solo nove milioni di abitanti (su un totale di 83 milioni) e soltanto il 2,7 percento è protetto con doppia dose.

Nella Repubblica islamica sono stati prodotti sette diversi tipi di vaccino ma soltanto uno, chiamato Covo-Barekat, è attualmente in uso e il 23 luglio il leader supremo Ali Khamenei ha ricevuto la seconda dose proprio di questo vaccino prodotto localmente.

La crisi sanitaria suscita rabbia tra gli iraniani che in questi mesi cercano il vaccino nella vicina Armenia, dove la popolazione locale è invece riluttante a farsi vaccinare. Secondo i dati dell’ufficio del turismo dell’Armenia, i turisti iraniani che si sono fatti vaccinare gratuitamente a Yerevan sono stati 5mila a maggio e 8.500 a giugno. Oltre agli iraniani, sono numerosi gli indiani. Tutti in coda, anche per giorni, in attesa del loro turno.

Così li ritrae la tv di Stato armena. Sono tre i vaccini approvati a Yerevan: il russo Sputnik V, il cinese CoronaVac e AstraZeneca. Inizialmente erano tutti in offerta gratuita agli stranieri, un modo come un altro per incoraggiarli a visitare il paese. Le code lunghissime hanno però indotto le autorità di Yerevan ad autorizzare il vaccino solo con AstraZeneca e solo a coloro che hanno soggiornato nel paese almeno 10 giorni.

In Iran non mancano le polemiche in merito alla scarsità di dosi. Il 18 luglio un funzionario ha dichiarato che entro settembre saranno a disposizione 50 milioni di dosi di Covo-Barekat made in Iran. Inizialmente la Russia avrebbe dovuto consegnare 62 milioni di dosi di Sputnik V, ma finora ne ha mandati solo due milioni.

Eppure, nella Repubblica islamica vengono prodotte ogni mese cinque milioni di dosi di Sputnik V destinate ai paesi con cui le autorità di Mosca hanno firmato contratti. Queste dosi «non appartengono all’Iran», ha dichiarato Alireza Raisi, viceministro della Sanità di Teheran nonché portavoce dell’organizzazione iraniana contro il Covid-19. In diretta audio, il funzionario ha spiegato che «una linea di produzione dello Sputnik dedicata all’Iran sarà operativa da settembre».

La rivelazione sull’app Clubhouse, assai popolare in Iran, ha suscitato risentimento nei confronti della Russia. Sui social media numerosi giornalisti hanno attaccato il governo Rohani per aver fatto affidamento sullo Sputnik.

Il giorno successivo alla trasmissione su Clubhouse, la reporter riformatrice Fatemeh Karimkhan si è per esempio domandata se «la Russia è veramente l’alleato strategico dell’Iran». E il suo collega conservatore Mostava Mousavinejad ha scritto che «l’Iran non dovrebbe fidarsi né della Russia né degli Stati uniti».

Inevitabilmente, il 20 luglio è dovuta intervenire la diplomazia: l’ambasciatore iraniano a Mosca Kazem Jalali si è dichiarato «certo che le affermazioni del funzionario della Sanità sono state distorte, la maggior parte dei vaccini prodotti in Russia sono per il consumo domestico e per questo motivo Mosca fa conto sulle linee di produzione in Iran per consegnare i vaccini ai paesi terzi con cui ha firmato contratti».

Qualche ora dopo, il capo del centro informazioni del ministero della Sanità di Teheran Kianoush Jahanpour è intervenuto dicendo che «negli scorsi mesi il governo russo e quello iraniano hanno collaborato per aiutare il sistema sanitario iraniano». Un esempio di questa collaborazione è «la co-produzione del vaccino Sputnik V in Iran».

Cercando di smorzare i toni, quello stesso giorno la società Actoverco, che produce il vaccino Sputnik in Iran, ha rilasciato una dichiarazione dicendo che, dopo aver ottenuto conferma dalla Russia, a settembre inizierà a produrre nella Repubblica islamica 900mila dosi di Sputnik V al mese. Bazzecole, tenuto conto che in Iran vivono 83 milioni di persone.