Sembra vicino a una soluzione il caso Reyhaneh Jabbari. La donna, accusata dell’omicidio del suo stupratore, ha firmato una richiesta di perdono ai familiari della vittima. Con questo gesto, da una parte, Reyhaneh ha negato di fatto di aver subito un tentativo di stupro, dall’altra, ha evitato l’impiccagione, prevista per ieri, e che per il momento risulta sospesa. La 26enne era accusata di aver ucciso un impiegato del ministero dell’Intelligence, Morteza Sarbandi, nel 2009. Secondo Amnesty International, le indagini sul caso non sarebbero accurate. Secondo le ricostruzioni di alcuni periti un altro uomo avrebbe ucciso la vittima. Per questo, Jabbari sarebbe stata obbligata a rinunciare al suo primo avvocato per evitare che venissero svolte indagini suppletive. La condanna a morte di Reyhaneh aveva generato ampia eco internazionale. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, aveva espresso preoccupazione etichettando la prevista esecuzione una violazione della legge iraniana e internazionale.

Si aggrava invece il caso di Ghoncheh Ghavami che ha iniziato lo sciopero della fame in carcere. La 25enne britannica di origini iraniane è in cella dal 20 giugno, quando è stata arrestata mentre protestava con uno striscione fuori dal palazzetto dello sport in cui si stava giocando una partita di pallavolo maschile tra Iran e Italia. Mentre la giornalista iraniana, moglie del corrispondente del Washington Post a Tehran, Jason Rezaian, ancora in carcere, è stata rilasciata su cauzione dopo due mesi e mezzo.

Per la libertà di stampa in Iran non è tempo di aperture. Il sito Entekhab è stato chiuso il primo ottobre, dopo aver pubblicato accuse di corruzione a carico del presidente moderato Hassan Rohani. Ci sono però alcune buone notizie su internet e i social media. Yahoo torna in Iran. Si chiude così una disputa che durava da un anno per l’assenza dell’Iran dalla lista dei paesi in cui è possibile creare account email. Più controversa è invece la questione della diffusione di piattaforme WhatsApp e Viber. Tuttavia, il capo del sistema giudiziario iraniano, Sadeq Larijani si è dichiarato contrario a imporre ulteriori limiti all’uso dei social media in Iran. Gli utenti, secondo Larijani, dovrebbero solo usare questi strumenti in «modo corretto».

Ma a preoccupare le autorità è sempre l’accordo sul nucleare. Sei cineasti iraniani hanno lanciato un appello ai potenti del mondo di arrivare a una soluzione della disputa sul programma nucleare. I registi, tra cui Abbas Kiarostami, Rakhsan Etemad e Asghar Farhadi, vincitore del premio Oscar nel 2012, hanno aderito alla campagna «NotoNodeal» (No al non-accordo). I registi hanno chiarito che una proposta migliore per l’Iran, rispetto alla bozza del luglio scorso che prevede il riconoscimento del diritto iraniano a un programma nucleare pacifico, dovrebbe essere accettata dalle autorità di Tehran. Infine, nell’incontro della scorsa settimana del presidente Rohani con i leader di Russia, Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakhstan, sulla decennale disputa per la divisione delle acque del mar Caspio, i governi russo e iraniano si sono accordati sui limiti da porre a qualsiasi presenza rafforzata della Nato, proibendo il dispiegamento di militari di paesi diversi da quelli che condividono il litorale del grande lago.