Che una nazione come l’Iran sia descritta oggi con banalizzante e imbarazzante superficialità stupisce fino a un certo punto. In una delle serie cult di Netflix, Homeland, la Repubblica Islamica – sciita, impegnata da anni contro il jihadismo sunnita – è stretta alleata di al Qaeda e mente di un attentato terroristico stile 9/11 al quartier generale della Cia. Quanto di più astorico possa esserci. E non è affatto infrequente che a parlare di Iran si cimentino soggetti che si limitano a dipingere un regime monolitico, senza sfumature né contraddizioni. Solo boia e velo.

È IL DESTINO di un paese che ha segnato la storia dell’umanità. Mai fisicamente assoggettato al colonialismo europeo, è stato oggetto del desiderio del bagaglio ideologico dell’orientalismo, diversamente declinato e intrinsecamente eterogeneo nell’approccio, con la Persia mero riflesso obliquo nello specchio europeo. Mai colonia, mai protettorato, l’Iran ha vissuto una storia ben differente da quella dei vicini, nazioni disegnate a tavolino e popoli depauperati di risorse e autodeterminazione politica.

Poi capita che in Iran ci si vada in vacanza, uno tra i pochi luoghi in Medio Oriente a poter essere visitato senza timore di ritrovarsi in mezzo a una guerra. E chi torna, torna estasiato. Dalla gente, dalla sua voglia di apertura, dalla tipica ironia persiana, dalla spigliatezza e la cultura dei suoi giovani, dalla bellezza. Ottima guida alla scoperta della Repubblica Islamica è il libro di Farian Sabahi, Il bazar e la moschea. Storia dell’Iran 1890-2018 (Mondadori, pp. 336, euro 21): una rivisitazione dell’opera precedente dell’autrice rivista alla luce dell’ultimo decennio. Docente e giornalista, collaboratrice de il manifesto, Sabahi ricostruisce un secolo e mezzo intrecciando ricerca e narrazione storica all’attività di reporter.

Un libro che è insieme testo di storia e lungo reportage, combinazione necessaria quando a essere analizzati sono fatti troppo recenti per essere letti con l’occhio della Storia. Tra le pagine emergono i nomi degli iraniani che hanno segnato la vita del paese, l’hanno rivoluzionata, hanno resistito alle interferenze esterne per uscirne sconfitti o vittoriosi. Vittime e carnefici che assumono forme diverse: l’occidentalizzazione forzata di Reza Shah Pahlavi e il golpe del figlio Muhammad Reza, il movimento popolare che sostenne il socialismo di Mossadeq, la rivoluzione eterogena dell’ayatollah Khomeini che vide in piazza fianco a fianco islamisti e comunisti. Fino ad Ahmadinejad il conservatore che «parlava» con il Mahdi e Rouhani il moderato con il suo bagaglio di speranze disattese.

E CI SONO COLORO che da fuori hanno imposto i momenti di svolta: dagli ultimi presidenti Usa, l’Obama del disgelo e il Trump delle rinnovate sanzioni, alle potenze inglese e russa che, per decenni, si sono spartite le risorse energetiche ai tempi dello scià.
Ma a esserci è soprattutto il popolo iraniano e le sue mille facce, i bazarì e gli imam, i pasdaran e le donne, gli attivisti e le minoranze. E decine di sollevazioni: a partire proprio dal 1890, dalla rivolta del tabacco che per la prima volta vide la moschea allearsi al bazar, fino al 2018 con le piazze piene contro il carovita passando per il movimento verde del 2009, incompresa anticipazione delle primavere arabe.
Con piccoli (spesso divertenti) approfondimenti su aneddoti e personaggi solo apparentemente di secondo piano, ma più esplicativi di un saggio storico, l’autrice evita con maestria facili descrizioni banali, consegnando al lettore i fatti storici nel loro contesto spaziale e temporale. Ad uscirne è la Storia dell’Iran, paese che sa affascinare chi lo approccia con la dovuta riverenza e la necessaria capacità di giudizio.